Essere rimasti confinati in casa per prevenire e arginare la diffusione del contagio è pesato a tutti, ma la fatica è stata certamente impegnativa per chi vive con una disabilità fisica e/o psichica.
Lo stop alle attività ricreative, alla socializzazione, e soprattutto la chiusura ermetica dei centri diurni tra marzo e maggio ha messo a dura prova l’effimero benessere delle persone disabili e ciò è andato ripercuotendosi sia sull’equilibrio delle loro famiglie, costrette a compiere i salti mortali nella gestione quotidiana, sia sugli assistenti domiciliari costantemente in balia del contagio.
A cercare di rendere l’idea di cosa abbia significato vivere tre mesi in quarantena è il presidente di Anffas Trentino onlus. Da otto anni al vertice di un’organizzazione attiva per la tutela dei diritti delle persone con disabilità intellettiva e disturbi relazionali, Luciano Enderle dipinge un quadro con tinte non proprio sgargianti: “Sempre più famiglie faticano a contenere il disagio nel momento in cui il disabile è in casa dalla mattina alla sera – sospira – Stiamo cercando di studiare come ripartire nel rispetto di tutte le misure di sicurezza, per ora pensiamo ad alcuni servizi a rotazione da attuare con il collegamento a distanza”.
Domina la convinzione che le cose non si normalizzeranno in tempi celeri, ragion per cui si fa largo uso del contatti da remoto, dove e per quanto possibile. Per lo più ci si imbatte in soggetti debilitati dal punto di vista immunitario, cosicché s’è rinunciato all’affiancamento domiciliare, peraltro ridotto all’osso se non fosse stato per le operazioni di igiene personale e di pulizia domestica.
Anfass, che ha cercato di attrezzarsi fin dalle prime ore della serrata, non disdegna l’applicazione di nuove tecnologie comunicative, benché non risolutive. Nelle tredici strutture trentine per ospiti residenziali (in due delle quali ha fatto breccia il virus) la situazione è rimasta sotto controllo e non sono squillati campanelli d’allarme.
“Comprendo il disagio delle famiglie costrette ad accettare il sacrificio di non vedere i propri cari – il messaggio del responsabile Anfass – Stiano tranquille, lavoriamo per evitare al massimo il possibile contagio”. I coordinatori mantengono contatti periodici con i famigliari degli utenti, per il resto si punta a dare sollievo ai disabili trattenuti in casa. “Ci sono casi che preoccupano – aggiunge Enderle – sono famiglie che soffrono in silenzio. Ricordiamoci che prima viene la persona e poi la disabilità”.
Il più delle volte manifestano bisogni comunicativi o di sostegno di tipo comportamentale. Per loro ammalarsi di Covid-19 può rivelarsi drammatico, anche e soprattutto in caso di ricovero ospedaliero. Ai volontari (400 quelli attivi in tempi ordinari) non s’è potuto ricorrere, in tempo di quarantena, e alla salute delle persone affette da disabilità hanno provveduto i caregiver. “In questo momento dimostriamo quanto stiamo facendo. Nessuno dei nostri pazienti è andato a carico del servizio sanitario perché finora siamo riusciti a gestirli con il nostro personale interno. Voglio però ricordare che la qualità rimane alta”.
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