Lo spunto
Mi permetto di coinvolgere “Sentieri” in alcune riflessioni su un tema che mi sta particolarmente a cuore. Parlo di cultura e di libri. Trento nel corso degli anni ha modificato la presenza delle librerie e tra le nuove opportunità c’è un punto vendita con un ottimo potenziale, ma poco valorizzato. Mi riferisco ai banchi dei libri nel negozio senza pareti dell’Isola di Arturo. Al di là della cura dedicata ai libri – perché ci sono testi nuovi e usati – il “banchetto” presenta una varietà di proposte che possono intercettare tutti i lettori. Mi sorgono però alcune domande: che valore dà l’amministrazione comunale a questo presidio culturale? Penso poco o nulla nel momento in cui viene imbucato in Piazza D’Arogno. Questa piazza, a noi che passeggiamo su via Mazzini, attira ben poca attenzione “commerciale”, posto che la vista viene assorbita (e così deve essere) dalla splendida abside del Duomo. In via Verdi poi, a parte gli studenti oggi azzerati dalle sospensioni del virus, ci si passa solo se si proviene dal posteggio di Sanseverino. E se portassimo in forma stabile i libri in piazza Fiera?
Franca Desilvestro
L’epidemia del virus ha rilanciato i mezzi on-line, computer, mail, telefonini, promuovendo lavoro e messaggi a distanza, il cosiddetto “smart work”, necessario ma non sempre “intelligente” come vorrebbe apparire. A lungo andare, infatti, senza confronti e contatti diretti, viene a mancare l’alimentazione di idee e di saperi necessaria al comunicare. Si inaridisce la sorgente. Con il virus s’è quindi confermata anche l’esigenza di più estese letture cartacee, la necessità di uno “smart reading” in parallelo con lo “smart working”.
Il libro è emerso come presidio indispensabile non solo di cultura e identità, ma di aggiornamento (e intrattenimento) per una comprensione reale della vita. Non a caso in questi mesi, assieme ai negozi alimentari e alle farmacie le librerie si sono posizioniate fra le presenze più richieste, mentre le multinazionali monopolistiche delle consegne hanno moltiplicato “business” e guadagni.
Ma questo sistema “porta a porta” si sta rivelando sempre più costoso per la società, dannoso per la vivibilità (incentiva le solitudini) e mortale per le città. E’ su questo che dovrebbero riflettere a fondo le amministrazioni comunali che non sembrano rendersi conto di come, dopo il virus, le città devono rinascere. Non possono più essere provvisorie vetrine di movide, aperitivi e paninerie , ma devono rilanciare botteghe, uffici, mercatini, artigianati, in un tessuto di offerta compenetrato. Anche perché non si può ogni giorno muovere camion e furgoni per consegnare qualche libro, alcune camice, un “intimo” e qualche cassetta preconfezionata. E dovrà pur essere adeguatamente tassata questa “escalation” di consumi pubblici (benzina o elettricità,c he proviene anch’essa in massima parte dal petrolio – aria inquinata, usura stradale, intasamento di viabilità) per guadagni privati. Ebbene, l’Isola di Arturo – per quanto riguarda i libri – si presenta come un’alternativa efficace a questa prospettiva micidiale per i centri storici. Il fatto è che in città, per colpa di affitti proibitivi, le vie si sono spopolate di negozi e l’offerta – attrattività – dello “shopping” è caduta in modo drastico, così che le bancarelle – e lo confermano quelle di piazza Vittoria – sono diventate non “ripiego” per prodotti marginali, ma richiamo sempre più frequentato di un’offerta di qualità e varietà. Per i libri va ricordato che ogni vera città ha, con le grandi librerie, le bancarelle: Roma, Firenze, la stessa Milano, per non dire Parigi, sul Lungosenna, dove “bouquiner”, l’andar per libri, costituisce un’attrazione pari a quella di esplorare “boutique” e “bistròt”. Ma queste bancarelle sono in luoghi fissi, riconoscibili. Anche a Trento potrebbe aprirsi questa opportunità, grazie all’“Isola” di Arturo Osti, un rappresentante che si è trasformato in libraio.
Osti, con la sua attività assolve ad una doppia funzione di cultura. Salva i libri delle vecchie biblioteche (quelli che le famiglie di chi li ha raccolti vogliono sgomberare, destinandoli al macero) li “posteggia” in un capannone preso in affitto a un costo non irrilevante, e li offre a poco prezzo sul banchetto che allestisce a Trento e in altre piazze del Trentino. Ma a Trento – dove pur esiste una lunga e vincente tradizione di commercio all’aperto confermata dalla toponomastica (piazza Erbe, piazza Fiera, piazza Mostra, piazza dei Contadini, piazza Lodron ora desolatamente vuota …) incontra spesso difficoltà che lo costringono ad un precariato penalizzante. Da via Verdi, accanto a Sociologia è dovuto passare in piazza d’Arogno, con le difficoltà che la segnalazione della lettrice espone, poi ha subaffittato un posto al Torrione di piazza Fiera, che sarebbe deputata ai banchetti stabili, e c’è infatti una gastronomia, mentre il glorioso “ombrellone rosso” dei fiori ha ceduto gli spazi ai tavolini della pasticceria d’angolo. Ma piazza Fiera dovrebbe tornare ad essere un polo di “mercatini” non solo nella stagione natalizia. Lo spazio non manca e il luogo è il più adatto, anche per diversificare l’offerta commerciale di tutta la città
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