Domenica 31 maggio 2020
At 2, 1-11; Sal 103; 1 Cor 12, 3b-7. 12-13; Gv 20, 19-23
Pentecoste è probabilmente una festa sconosciuta. Indica i cinquanta giorni dopo la Pasqua. Era per gli Ebrei una grande festa che celebrava il dono del grano, simbolo di un Dio che si prende a cuore l’uomo e le sue vicende sulla terra. Ma celebrava soprattutto l’alleanza, il patto di amicizia tra Dio e il suo popolo, avvenuta sul monte Sinai.
A Mosè Dio ha dato la legge (le dieci parole, i comandamenti) perché, osservandola, si potesse instaurare un autentico rapporto d’amore con il popolo. Ma la legge non crea rapporti d’amore: a volte non se ne capisce il senso, altre volte diventa troppo pesante. Gesù lo sa e dona lo Spirito santo, che è una presenza liberante. Liberante anzitutto perché presenza amica. «Si trovavano tutti insieme» scrive il libro degli Atti degli apostoli.
E lo Spirito «riempì tutta la casa». E’ un’immagine bellissima, perché è la fine di un modo di intendere la divinità «circoscritto a certi luoghi che chiamiamo sacri». (Angelo Casati) E, invece, qui sacra diventa la casa.
E’ lì, in quella intimità dove le persone si amano, lavorano, soffrono e sperano che lo Spirito scende a ricordare Gesù. E’ lì che fin dall’inizio si spezza il pane e si fa memoria del Risorto.
E’ nella famiglia, «mediante il mutuo affetto dei membri e l’orazione fatta a Dio in comune» che si costruisce la chiesa, e si testimonia nella concretezza l’azione di un Dio che accoglie, perdona e accompagna in ogni momento chi ha bisogno di Lui, attraverso le cure amorose di una mamma, di un papà e dei figli. E’ in quei rapporti, in quell’agire insieme che Dio attua il suo progetto di salvezza. Ed è una tentazione pensare che solo «il tempio» ci può fare incontrare col divino.
Gesù non abitava il tempio, ma la vita reale, piena di contraddizioni, a volte drammatica della gente.
Lo Spirito invita a percorrere queste stesse strade. «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro»: è un’altra immagine stupenda e impegnativa. Lo Spirito non è solo su una comunità presa nel suo insieme. Si divide e si posa su ciascuno, tocca la vita, tocca il corpo di ogni persona. Ciascuno di noi, dunque, è il santuario dei tempi nuovi inaugurati da Gesù.
Dio con il suo Spirito scende ad abitare la terra. Ed è facile, purtroppo, rifugiarci tutti ancora nella religione che vuole Dio soltanto nel luogo sacro, servito da persone consacrate. Diventa facile delegare, tradire il messaggio della Pentecoste e pensare e rinchiudere la testimonianza cristiana solo in certi spazi, in determinate condizioni.
Ma è un alibi: «Del tuo Spirito, Signore, è piena la terra» cantiamo nelle chiese. Ma più che cantarlo, occorre crederlo nella vita, anche quando usciamo dalle chiese e rendere il nostro tempo, un tempo abitato da Gesù.
Solo allora può accadere un altro miracolo, quello di essere compresi da tutti nella loro lingua. E avviene non attraverso le parole o i documenti, ma attraverso i gesti, attraverso quello che noi compiamo. Sono i gesti di amicizia, di vicinanza, di comprensione, di solidarietà a far crescere il regno di Dio, quella società nuova che Gesù è venuto a inaugurare. La presenza dello Spirito in noi è la presenza dell’amore, che ricerca, accompagna, inventa, che non è mai fermo, perché è vento che spazza via discordie e divisioni e rinnova il cuore di ogni uomo.
Sono convinto che anche in me agisce lo Spirito e mi rende capace di portare nella religione e nella storia degli uomini il progetto di Gesù? Siamo capaci come comunità cristiana di parlare il linguaggio dell’accoglienza e dell’unità nella diversità?
Lascia una recensione