DOMENICA 3 MAGGIO 2020 – QUARTA DOMENICA DI PASQUA ANNO A
At 2,14a.36-41; Sal 22; 1 Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10
Un poco alla volta stiamo tornando alla vita normale, non probabilmente, o comunque non subito, alla vita “di sempre”. La pandemia ci ha segnati nel corpo e nello spirito. Tante persone che rendevano bella la nostra vita ci hanno lasciato, la crisi sanitaria pesa ora sull’economia, sui lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro e sulle loro famiglie, su coloro che già prima faticavano a giungere alla fine del mese. Abbiamo potuto ammirare esempi stupendi di solidarietà, di abnegazione, di gratuità.
Ora dovremmo guardarci dal pericolo di ritirarci in noi stessi, di gridare «si salvi chi può», riscoprendo quell’individualismo che è in ogni epoca il virus più pericoloso. Il Vangelo di questa domenica ci aiuta a camminare nella direzione giusta; ci parla di quanto sia meraviglioso il rapporto con gli altri. Forse lo abbiamo potuto riscoprire grazie anche alla dura esperienza impostaci per salvaguardare la nostra salute e la salute di tutti. Ci mancavano i rapporti umani, ci mancava il non poterci incontrare, dialogare, scherzare e forse anche litigare.
La liturgia propone oggi una delle liriche più intense del Salterio: «Il signore è il mio pastore, non manco di nulla; in pascoli erbosi mi fa riposare» Il simbolismo del pastore pervade tutta la Bibbia e per noi non è sempre facile coglierne la ricchezza. Il pastore dell’antico Oriente non era solo la guida del gregge, ma il compagno di vita, pronto a condividere con le sue pecore la sete, il sole infuocato del giorno e il freddo delle notti. Gesù si presenta anche come «porta delle pecore». E’ un’altra immagine forte e probabilmente c’è il richiamo alla Porta delle pecore del Tempio di Gerusalemme. Gesù probabilmente vede gli Ebrei attraversare quella porta per incontrare il loro Pastore supremo. E «con un’arditezza quasi blasfema egli esclama: «sono io la porta delle pecore», sono io vero Tempio, sono io il pastore, il Signore! (G. Ravasi)
Sono espressioni importanti per la vita dei cristiani, per la loro fede, per le loro scelte, per la loro visione del mondo. Il rischio è che non si guardi al pastore, alla relazione vitale tra Cristo e il suo popolo. Oggi è più evidente l’immagine di un gregge incapace di districarsi nella Babele dei linguaggi, nella confusione quotidiana. Molti si allontanano dal pastore vero, si sentono quasi a loro agio a fare i gregari. Cercano un uomo forte, un Fuhrer, un leader un capo in ogni attività umana. Ma i cristiani non dovrebbero testimoniare davanti al mondo un modo nuovo, diverso di vivere insieme? Non dovrebbero avere in massima considerazione parole come comunione, dialogo, condivisione tra fratelli e sorelle? Non dovrebbero sentirsi figli di un unico Padre/Madre che per tutti è garante di libertà e dignità? Ma per giungere a capire la bellezza della proposta di Cristo, occorre fidarsi della sua Parola, conoscerla, ascoltarla, amarla. Spesso invece è parola dimenticata dai cristiani, dai cattolici in particolare. E allora si rincorrono favole, si è pronti a farsi gregari nella chiesa e nella società. Scrive Bonboefer: «Non ci interessa un divino che non faccia anche fiorire l’umano. Un Dio cui non corrisponda la pienezza dell’umano non merita che ad esso ci dedichiamo.» Dio ci vuole capaci di una fede adulta, che sa accogliere il pastore come guida che non opprime, ma che porta profezie di pace, di bontà, di giustizia, di condivisione e di dignità per tutti.
Sento di avere una fede adulta, che guarda e conosce la parola di Dio, che la medita personalmente, o mi affido di più a norme e regole che quasi sostituiscono il Vangelo?
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