La comunità ci fa uomini, la rete resta un surrogato

Papa Francesco, solo, in piazza San Pietro

Le immagini hanno più forza espressiva delle parole, e la piazza San Pietro vuota, al buio, sferzata dalla pioggia, sembra il mare di Tiberiade. Un uomo vestito di bianco si staglia nel buio, con fatica raggiunge il portico, si ferma davanti a un crocifisso. Porta davanti al Salvatore di tutti gli uomini la supplica della Chiesa, lui, solo.

Eppure non è solo: lo accompagnano milioni di occhi, milioni di mani giunte in preghiera. La televisione porta quelle immagini, quelle parole, in tantissime case, e la nuova comunicazione delle reti sociali amplifica l’evento, aggiunge preghiere personali e commenti, lo diffonde in milioni di post che si propagano in tutto il mondo.

Non siamo in quella piazza, eppure in qualche modo vi siamo, ad ascoltare l’anziano Papa e le sue parole. Ma riusciamo davvero ad elevarci con lui oltre il livello di semplici spettatori, e diventare partecipi, con lui, della preghiera di supplica a Gesù e a sua Madre? Io credo di sì, se le immagini e le parole del Papa entrano nei nostri cuori, ci muovono a contemplare con lui il mistero di Dio fatto uomo per la nostra salvezza.

E mentre i messaggi di condivisione si moltiplicano sulla rete, risuonano le parole del Papa: ci siamo scoperti fragili e disorientati, di fronte ad un evento imprevisto e pericoloso, che non sappiamo gestire. Ci siamo creduti padroni del mondo, dominatori della natura in forza della tecnologia che abbiamo orgogliosamente prodotto in quest’ultimo secolo, e ci scopriamo invece deboli e impotenti, come i pescatori della Galilea nella tempesta. L’epidemia ha spazzato via l’illusione che con la tecnologia possiamo fare tutto, e farlo subito. Forse la tecnologia ci aiuterà a debellare il virus, ma ci vorrà tempo, e nell’immediato possiamo contare solo sulle nostre risorse umane, sul nostro senso di responsabilità, sui nostri comportamenti prudenti.

andrea tomasi
Andrea Tomasi è docente all’università di Pisa. Collabora con il Servizio Informatico della CEI. È Consigliere dell’Associazione Web Cattolici Italiani (Weca)

Allo stesso tempo ci rendiamo conto che le distanze, accorciate dalla modernità e da Internet, ci fanno tutti partecipi di un’unica sorte, constatiamo che non c’è un luogo “altro” in cui rifugiarci, che la “barchetta” del nostro mondo racchiude a bordo l’intera umanità. Scoprirci comunità è ciò che ci fa uomini. La rete ci aiuta, ed è preziosa in questo momento, ma rimane un surrogato. La “community” è reale se è l’estensione di una comunità “in presenza”, allo stesso modo di come solo l’Eucarestia celebrata e ricevuta nella Messa diventa “comunione”, perché fa entrare Dio nelle nostre fragilità e ci rende partecipi di quella “comunione dei Santi” che è più reale di ogni comunità internettiana.

Forse l’impegno più difficile, quando la vita riprenderà, e “nulla sarà più come prima”, sarà proprio quello di distinguere, sul confine tra reale e virtuale, ciò che ci renderà più umani e ciò che rispecchierà invece solo le nostre illusioni.

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