Palazzo Chigi, ancora prigionieri della vecchia politica

Europa e Italia

I giorni che ci attendono non saranno facili. Speriamo di riuscire a normalizzare la situazione sanitaria (per battere veramente l’epidemia secondo alcuni esperti dovremo aspettare che si trovi il vaccino), ma dovremo misurarci con una situazione di crisi economica. Su questo concordano tutti, ma, paradossalmente, anziché essere spinti a trovare convergenze forti, si preferisce speculare sul panorama che ci troveremo a fronteggiare.

Non è un caso che si assista ad un ritorno in campo di tutte le fantasie immaginabili: dall’introduzione di un impossibile reddito di cittadinanza generalizzato al sostanziale azzeramento delle tasse, dall’attesa che il sistema europeo si faccia carico del nostro deficit alle invenzioni di sussidi alle più diverse categorie, ne stiamo sentendo di tutti i colori. E’ la lotta dei partiti per garantirsi l’allargamento dei consensi, e non c’è ritegno: c’è chi fa della demagogia religiosa mettendosi a pregare per i defunti in un talk show che di sentimento religioso ne ha davvero poco e chi torna al populismo del tagliare stipendi ai politici giusto per spargere ancora un po’ di discredito su questa categoria.

Il dato è preoccupante in sé, perché testimonia di una classe politica che ha troppe componenti di scarso livello (e spiace dirlo, perché si fa torto ad una altra componente, che esiste, di uomini e donne di un certo spessore), ma è preoccupante soprattutto perché il governo non è in grado di contrapporsi efficacemente a queste derive. A Palazzo Chigi e dintorni sembra dominare la logica per cui l’importante è recitare la parte del capitano al timone della nave in burrasca: interventi e interviste a ripetizione, provvedimenti continui per lo più annunciati ancor prima che trovino attuazione, sicché generano aspettative il cui mancato soddisfacimento produrrà ansie e delusioni.

Chi ha pensato questa modesta strategia è convinto che così salga il consenso al governo e soprattutto al presidente del Consiglio, il che è vero nell’immediato, ma si tratta di una bolla che prima o poi scoppierà come sempre succede in questi casi. In realtà urge che a fronte dell’incipiente crisi economica si metta in campo una strategia almeno di medio periodo e che lo si faccia col realismo necessario. Significa senza aspettarsi condizioni che non si verificheranno e senza promettere interventi per cui non si hanno i mezzi.

Il primo punto riguarda la questione del nostro rapporto con l’Europa. Ormai anche i più restii ad ammetterlo hanno capito che in quella sede di un finanziamento generico al nostro deficit non è il caso di parlare. Sarà possibile avere sostegni, forse anche molto significativi, ma solo se ci saranno solide garanzie che i soldi che arriveranno non vadano persi nei gorghi delle nostre non poche debolezze sistemiche. Ora un Paese che non riesce neppure a rifornirsi e a produrre mascherine in una emergenza drammatica non è che dia prova di essere molto affidabile. Sono cose che i nostri partner vedono (basta fare un giro per le farmacie) e bisogna esserne consapevoli. Di conseguenza è urgente che venga varato un piano serio di riqualificazione del nostro sistema di governo. Sembra difficile che possa farlo da solo l’esecutivo attuale che non è che si basi solo su forze politiche ben preparate per questi compiti, ma è altrettanto dubbio che la cosa si risolva semplicemente imbarcando anche un’opposizione che in quanto a componenti irresponsabili non è seconda a nessuno.

Purtroppo siamo azzoppati da una situazione politica in cui le forze in campo sognano solo ciascuna di poter finalmente arrivare al duello finale in cui sgomineranno l’odiato avversario. Siccome non dobbiamo scrivere la sceneggiatura di un film western, ma il progetto di una complicata ripartenza del paese dopo una crisi che lo ha messo alle corde, non ci serve questa mentalità da scontro finale fra buoni e cattivi. Ovviamente sappiamo bene che una difficoltà ad uscire dalla trappola delle diatribe politiche che ci tiriamo dietro da una lunga stagione è la non disponibilità del ricorso al giudizio delle urne. E’ vero che elezioni dopo una crisi devastante come quella che stiamo vivendo potrebbero essere molto rischiose, ma è anche vero che forse quantomeno ridimensionerebbero, magari anche in maniera sostanziale, varie componenti che ci stanno tenendo prigionieri delle loro demagogie.

Siccome questa via d’uscita non è percorribile, bisognerà trovarne un’altra, ma è necessario convincersi che il nodo della crisi attuale è nel quadro di demagogie politiche in cui siamo finiti intrappolati.

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