La pandemia non è un accidente storico che presto sarà solo un ricordo: lo sanno tutti e tutti lo ripetono in continuazione, ma quanto a tenere davvero conto di cosa implichi questa consapevolezza ce ne corre. Detto con franchezza, in questa emergenza paghiamo le conseguenze di una politica politicante che ha compromesso la tenuta sostanziale delle nostre istituzioni. Le difficoltà che si incontrano a tutti i livelli per varare una gestione della crisi che nasca da una vera solidarietà nazionale hanno origine nel passato di questa legislatura: un passato che nessuno vuole scordare.
Così siamo stretti in una morsa dovuta a molteplici fattori, qualcosa che solo il Presidente Mattarella cerca di fermare, pur con il tatto e la delicatezza richiesti da una situazione che può anche prendere una brutta piega.
In primo piano c’è la politica. Il governo, o meglio il premier Conte ha scelto di blindarsi in un ruolo di salvatore della patria. Lo confortano i numeri del suo gradimento nei sondaggi (71% di consensi), ma non realizza che ci sono cose più serie del consenso momentaneo di un’opinione pubblica tenuta in costante tensione. Quello è volatile, mentre la salute del sistema istituzionale se si mette in crisi non si ristabilisce facilmente. Così governare sulla base di decreti amministrativi (gli ormai noti DPCM) che non hanno bisogno di passare né per il parlamento, né per il vaglio del Quirinale, ma neppure per quello del Consiglio dei Ministri nella sua totalità crea un precedente pericoloso. La storia ci insegna che è facile poi “allungare” le situazioni di emergenza e lo sarà ancora di più quando si dovrà affrontare una situazione economica che sarà emergenziale.
Dunque non va bene aggirare il parlamento, magari con la scusa che non si possono garantire nelle sue assemblee le distanze di sicurezza fra i membri. Si costruiscono ospedali in pochi giorni, possibile che non si possa attrezzare una grande sede (tipo un palazzetto dello sport) per realizzare una seduta parlamentare adatta alla nuova situazione? E perché il voto telematico, varato dal parlamento europeo e anche da altri parlamenti come quello spagnolo, da noi trova opposizioni? Certo non è la soluzione ideale, ma è molto meglio di un sostanziale blocco del controllo parlamentare sull’azione dell’esecutivo.
Altro problema è il rapporto tra governo ed opposizione. Si può anche riconoscere che l’opposizione faccia una sorta di doppio gioco: da un alto voglia collaborare col governo, e dall’altro voglia sostituire l’esecutivo attuale con uno diverso. Rimane che l’opposizione è una “istituzione” nelle democrazie e non si può saltarla. Sugli uomini e le donne che la rappresentano si possono avere i più diversi giudizi, ma questo non inficia il suo ruolo costituzionale (del resto lo stesso vale per i membri del governo che non sono tutti pilastri della grande politica …).
Il Presidente della Repubblica, che è un fine giurista (mentre Conte è un avvocato d’affari), questo quadro ce l’ha perfettamente presente e dunque interviene come può: solo ex post (non è lui che può censurare un comportamento, tipo la leggerezza istituzionale di usare Facebook come strumento di comunicazione per decisioni dell’esecutivo), e cercando di non aggravare le tensioni prendendo posizioni che possano suonare come un suo protagonismo. Qualche risultato per ora lo ottiene: Conte incontra in extremis le opposizioni e sempre in extremis andrà a riferire in parlamento. Vedremo se almeno parzialmente questo segnerà una svolta.
Rimane però il secondo aspetto che viene in evidenza con gli ultimi sviluppi della crisi: il riemergere delle tensioni sociali. Avevamo già detto su queste pagine che per un paese che ha una carenza di “giustizia distributiva” gestire il sostegno alle difficoltà del nostro sistema economico sarebbe stato improbo. Adesso vediamo già cosa significhi questo: rincorsa di varie forze a sostenere i diritti di questo o quel settore penalizzato dalla crisi (i lavoratori autonomi, la cui difficile conoscibilità a causa di un fisco inefficiente rende complicato qualsiasi intervento), problema delle furberie consentite dall’infilarsi nelle debolezze di norme di difficile scrittura (di qui il contrasto fra sindacati ed industriali sulla effettiva tenuta delle difese della salute dei lavoratori).
Sono avvisaglie di inquietudini sociali che tenderanno a crescere con il mutare dell’emergenza da sanitaria ad economica, augurandoci che i due aspetti non si mescolino per una durata della pandemia più lunga di quel che ci immaginiamo.
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