C’è una grande vittima di COVID-19: la politica. O meglio, l’assenza di leader mondiali all’altezza di questa drammatica sfida. Oggi tutti guardano alla Cina come esempio virtuoso di gestione del contagio. Ma non bisogna dimenticare che per mesi sia i capi politici di Wuhan, la città fonte primaria del virus, che il Presidente Xi Jinping hanno a lungo nascosto e sottovalutato l’epidemia. Hanno perfino arrestato il medico, poi morto, che aveva denunciato il pericolo. Tuttavia, è quando si esaminano le reazioni all’apparire del virus di diversi leader occidentali che emergono le maggiori deficienze.
Il caso più eclatante è certamente quello del Presidente americano Donald Trump, che prima ha negato il rischio (come d’altronde fa sul tema del riscaldamento globale), poi ha assicurato che COVID-19 sarebbe sparito “come per miracolo” ed infine, di fronte alla sua rapida diffusione, ha attribuito la colpa alle amministrazioni competenti a debellarlo. Contemporaneamente, con l’usuale arroganza, ha bloccato di colpo tutti i voli dall’Unione europea (tranne la Gran Bretagna) senza avvertire neppure per telefono i suoi colleghi al di qua dell’Atlantico. Eppure una volta si parlava proprio di “solidarietà transatlantica”, tanto da averci costruito sopra un’istituzione come la Nato. E’ poi esploso il caso di un maldestro e furbesco tentativo di Trump di sottrarre alla Germania, acquisendone il controllo, una ditta di Tubingen, la Cure Vac, che sta sviluppando un vaccino anti-COVID-19.
Vera o no, la storia è indicativa di un modo di governare schizofrenico e privo di una qualsiasi strategia, salvo quella di pensare al proprio tornaconto politico e nazionale.
Né meglio si è comportato il leader britannico Boris Johnson, che si picca di essere l’erede di Winston Churchill, ma che invece di invocare misure “lacrime e sangue” si è limitato a dichiarare cinicamente che molte famiglie “avrebbero perso anzitempo i propri cari” (verosimilmente anziani), quasi a voler dichiarare di rinunciare alla lotta contro il Coronavirus.
Preoccupa anche la lentezza con cui ha deciso di agire Angela Merkel, il cui intervento si era dimostrato determinante nelle precedenti crisi, quella finanziaria del 2008 e la seguente del 2015 sulla massiccia immigrazione dalla Siria. In questa occasione è rimasta a lungo silenziosa e solo recentemente ha preso una decisione assurda, quella di chiudere le frontiere nazionali salvo poi riaprirle almeno parzialmente per il transito delle merci.
La verità è che la Merkel in queste ultime settimane era più preoccupata del confronto fra Grecia e Turchia sul passaggio verso l’Ue di una nuova massa di migranti che della diffusione del contagio nel suo paese.
Analoghe risposte balbettanti o di ostracismo sono venute da Francia e Austria a conferma della confusione mentale in cui sono piombate le classi dirigenti europee e più in genere occidentali.
In questo marasma politico ad uscirne meglio è proprio il nostro paese, che malgrado la novità della situazione da affrontare e le gravissime difficoltà finanziarie con cui è costretto a confrontarsi, è finora riuscito a fronteggiare una crisi di inaspettate dimensioni. Crisi che, fra il resto, rischia di vanificare ogni possibilità futura di ripresa economica, come dimostrano le colossali perdite in borsa e l’enorme aumento del debito pubblico che si prospetta per fare fronte alle nuove spese.
Con questo atteggiamento allo stesso tempo coraggioso e prudente, l’Italia è perfino riuscita a mettere in moto anche un’Unione europea fino a qualche giorno fa piuttosto distratta. Il nostro governo ha quindi ottenuto sia la riapertura al passaggio delle merci in quello che ancora dovrebbe chiamarsi mercato “unico” europeo (con lo sblocco di materiale sanitario da Francia e Germania), sia la decisione di attivare i vari Fondi di solidarietà comunitari con i quali l’UE può andare in soccorso dei paesi vittime di “calamità provocate dall’uomo” (art. 222 del Trattato di Lisbona).
Certo, va anche detto che si è dovuta attendere la diffusione del virus in gran parte dell’Unione, prima che Bruxelles si decidesse a venire incontro alle nostre giuste richieste. Il che testimonia la limitatezza dei poteri dell’Unione nel rispondere ai bisogni dei cittadini europei. Al di là della contingenza del virus, infatti, l’incompletezza dell’attuale Unione europea è essa stessa un chiaro segnale della perdurante debolezza dei leader europei, incapaci ormai da decenni di fare progredire l’UE verso una maggiore integrazione e solidarietà condivisa. Si preferisce invece, soprattutto in momenti di crisi, fare affidamento sui poteri nazionali, quasi sempre in contrasto fra di loro.
Ma pensare di evitare crisi finanziarie, dell’immigrazione e oggi anche del virus, erigendo frontiere sempre più alte, ciascuno per proprio conto, non farà altro che peggiorare le cose. E’ questo l’insegnamento che l’invisibile virus dovrebbe offrire a tutti i governanti europei. Ma ancora una volta temiamo che, alla fine, tutto continui come prima, fino alla prossima certa crisi.
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