DOMENICA 8 FEBBRAIO 2020 – V DOMENICA TEMPO ORDINARIO ANNO A
Siamo nel pieno del discorso della Montagna, dove Gesù ai suoi discepoli dà una nuova legge, che sostituisce quella di Mosè. Questa legge non è fondata su obblighi o divieti, ma su un modo nuovo di pensare la vita.
Davanti a una grande folla, Gesù proclama i discepoli «sale e luce» della terra. Non è un auspicio o un augurio; non dice «siate», ma «siete» uomini e donne capaci di dare sapore alla terra e di portare luce nel mondo.
E Matteo sembra volerci dire che la luce è fatta per illuminare le cose, non per nasconderle. Più chiaramente dice ai discepoli che il rischio per loro non è che la fede si spenga, svanisca, ma che si nasconda, che i cristiani vivano nell’anonimato e non si assumano nessuna responsabilità.
«Gesù non chiama le persone per salvarle, ma perché esse salvino». I cristiani non sono mandati a far sorgere comunità autoreferenziali, tutto devozione e spiritualismi disincarnati, o a considerarsi il centro del mondo. E’ purtroppo accaduto anche questo: almeno fino al Concilio Vaticano II, tutto doveva girare attorno alla Chiesa: la cultura, la politica, l’economia, l’arte, la scienza.
Tutte queste realtà erano a servizio della Chiesa, senza rendersi conto che il mondo non lo si può rendere Chiesa! E quando il mondo ha cominciato a diventare autonomo, questo processo è stato vissuto come il tramonto della fede e non come un ritornare alla Parola di Dio. Oggi è più facile capire quello che il brano evangelico di questa domenica ci vuole trasmettere, e cioè che la Chiesa e i cristiani non sono chiamati a fare una «politica cristiana», o magari «un’assistenza sociale» cristiana.
Non hanno il compito di costruire il «loro mondo cattolico», in alternativa a quello degli uomini. La Chiesa, ogni comunità cristiana, deve sapersi inserire nelle strutture laiche e civili per essere «sale e luce», per aiutare cioè queste strutture a raggiungere lo scopo per cui sono nate e a cui sono chiamate.
L’invito dell’evangelista è dunque alla concretezza, alla condivisione e alla solidarietà. Il centro del Vangelo non è la Chiesa, ma il mondo. «Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo figlio unigenito» (Gv 3,16). E tutto quanto fa parte del mondo è da essa amato.
E’ stupendo l’inizio della Gaudium et spes, l’importante documento del Concilio Vaticano II : «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto, e di coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore.» Se i discepoli sono sale, come il sale entra e si scioglie nei cibi, anch’essi sono chiamati a entrare nei vari ambiti della vita sociale, politica, economica….
La grandezza del Vangelo sta tutta in quella capacità di dare sapore e luce alle cose, disperdendosi in esse, di dare gusto al vivere. La fede non è dunque contro l’uomo, ma per l’uomo, per la sua crescita, promozione e liberazione.
Questo messaggio va riscoperto, se non vogliamo essere comunità insignificanti e lontane dall’insegnamento di Gesù, evitando però ogni pessimismo, che potrebbe diventare paralizzante. Non dobbiamo credere di avere troppe ombre in noi per dedicarci agli altri, di essere insipidi e poveri. I profeti ripetono a ciascuno: non preoccuparti delle tue ombre e malattie, ma della città, della gente, dove c’è fame e sofferenza; allora guarirai e sarai illuminato. «Perché siamo tutti dei malati, però capaci di dare salute. Siamo tutti feriti, però capaci di essere guaritori.» (E. Ronchi)-
Che cosa veramente ci preoccupa come comunità cristiana che vuole essere significativa per l’ambiente in cui vive? Il nostro mondo cattolico, le nostre devozioni o la vita del mondo?
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