Le folle oceaniche che, in Iran, avevano accompagnato il funerale del generale Qassem Soleimani ucciso da un drone americano su ordine diretto di Trump nei primi giorni di gennaio, si sono trasformate in folle che protestano contro il regime di Teheran. Non se l’aspettava il potere degli ayatollah, ma la protesta che la teocrazia aveva fomentato gli si ritorce contro. E’ dovuto intervenire la guida suprema Ali Khamenei che ha condotto la preghiera del venerdì – cosa che non avveniva da ben 8 anni – con un sermone molto agguerrito contro gli imperialisti americani, ma diretto pure contro chi mette in discussione gli assetti costituiti. E cosa chiedono i manifestanti che sono soprattutto giovani e giovanissimi, e non mancano certo le donne col velo o senza velo?
Chiedono a gran voce più libertà e maggiori opportunità. Anche in Iran – come un po’ ovunque nel mondo – stanno aumentando in modo impressionante le diseguaglianze sociali. L’apparato politico – religioso islamico in questi anni si è come nascosto e riparato dentro un fitto sistema di prebende e privilegi derivanti soprattutto dai ricchi dividendi petroliferi escludendo tantissimi che di fatto si sono sentiti esclusi, messi ai margini, illusi da un protagonismo che non li ha mai visti “attori” di un proprio destino dignitoso. I giovani, i ragazzi e le ragazze, istruiti, consapevoli, che con i social media valicano i confini nazionali diventando in qualche modo “cittadini del mondo”, vedono quel che succede attorno e nelle aree occidentali più sviluppate e naturalmente non sono più disposti a farsi abbindolare dalle false promesse rinunciando alla primogenitura (una cittadinanza attiva) per un piatto di lenticchie.
La teocrazia islamica iraniana nel corso degli ultimi decenni (la rivoluzione islamica è del 1979, un tempo lungo) si è via via trasformata in casta, una casta autoreferenziale e sorda alle istanze di chi non sta dentro il recinto dei “protetti”. Di volta in volta ha irrigidito o ammorbidito i dettami religiosi integralisti in base ai quali derivava un certo comportamento cogente ed esteso a tutti nel campo sociale e però nel frattempo –dietro il paravento dei dettami dogmatici- ha accumulato ricchezze e, appunto, privilegi, cose concretissime e mondane, che stridono apertamente con una situazione socio-economica che vede penalizzati i giovani con poche prospettive se non emigrare in cerca di fortuna e le famiglie impoverirsi. La morsa delle cosiddette Forze di sicurezza – i famigerati Basij, sedicenti volontari che hanno il compito di reprimere il dissenso -; il diffondersi di spie e delatori che in cambio di pochi dollari segnalano gli individui sospetti e le aree di dissenso; tutto ciò ha comportato il diffondersi di un clima di paura ma pure una forte insoddisfazione che nelle ultime settimane è sfociata in una sfida aperta al regime. Una sfida di massa, pienamente e autenticamente popolare, diffusa, capillare, organizzata. Sanno, questi ragazzi, che solo muovendosi insieme possono scansare la delazione e le denunce: se in una piazza sono tutti lì a protestare e a scandire slogan e canti contro il potere politico-religioso, certo non li si può arrestare proprio tutti. “Noi non siamo cittadini, siamo ostaggi, milioni di ostaggi”, gridano i giovani. E’ un grido di denuncia e al tempo stesso che denota la consapevolezza che solo uniti si può riuscire a non soccombere – a salvarsi – quando invece il programma politico-poliziesco è improntato al cinico divide et impera, letale per i manifestanti. Che tutto ciò porti a strappare risultati immediati, una vittoria che sarebbe la piena sconfessione degli ayatollah, è arduo e prematuro affermarlo. Ma una cosa appare meno nebulosa ed è che la società iraniana nel suo insieme si sta emancipando dal dettato religioso-integralista assumendo gradualmente modi di pensare e conseguenti comportamenti di tipo laico. Una laicità – attenzione – che non rinnega i convincimenti religiosi, ma non sopporta la strumentalizzazione che se ne fa a fini politici. Per mantenere le leve del potere; per impedire un cambio salutare della classe dirigente; per garantire il passaggio da un regime, come è quello attuale, a sponde di una democrazia basata sulla rappresentanza e sulla garanzia dei diritti fondamentali. Questo vogliono i giovani di Teheran, non altro, ma per loro è tutto.
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