DOMENICA 26 GENNAIO – TERZA DOMENICA ANNO A
Is 8,23b – 9,3; Sal 26; 1 Cor 1,10-13. 17; Mt 4,12-23
L’attività del Battista ha incontrato una forte opposizione ed è stato arrestato. Con lui si spegne una voce che culmina e chiude l’A.T (cfr. Mt 1,11.13) e si comincia ad ascoltare una voce nuova, quella di Gesù che è quella di Dio stesso (Mt 1,23). Gesù si ritira. in Galilea ma abbandona Nazareth per trasferirsi a Cafarnao, una città collocata sul mare, dove dalla sponda opposta vi potevano giungere molti pagani. Questa diventa «la seconda patria» di Gesù. Egli riprende l’annuncio del Battista: pone la stessa condizione, il cambiamento di vita e fa la stessa affermazione: la vicinanza del Regno di Dio (Mt. 4,17). A differenza di Giovanni, però, non associa la sua predicazione a qualche rito e neppure annuncia in essa un giudizio contro quanti non lo accettano. Gesù comincia la sua missione in mezzo a un popolo che era immerso nelle tenebre, che abitava una situazione senza speranza. E fin dall’inizio ha in mente un piano, un progetto che porterà avanti per tutta la sua vita: cambiare il cuore degli uomini e delle donne, cambiare la vita delle comunità. Si scontra ben presto col fatto che tanta gente era sottomessa al potere e quindi in qualche modo incapace di cominciare una liberazione politica e religiosa. Ogni cambiamento, infatti, per potersi attuare ha bisogno che si risveglino le coscienze di tutti, che tutti si assumano la loro parte di responsabilità.
Soprattutto è importante che le persone capiscano che ogni trasformazione non si avvera grazie a una sola persona, fosse pure il Messia, ma grazie all’impegno di ciascuno, alla capacità di vivere in comunione da parte di tutti. Sulle strade buie degli uomini di allora e dei nostri tempi, racconta il Vangelo, si accende una luce. A molti potrà sembrare troppo tenue, poco utile. Ma su quelle strade cammina un uomo del tutto normale, non un personaggio illustre asceso alle vette del potere, cammina un uomo nel cui nome già si intuisce la grandezza del suo compito: Gesù, Dio salva. E la sua salvezza non è lontana da ciascuno, perché si concretizza in poche parole adatte a trasformare la vita: convertiti, cambia il modo di pensare, trasforma te stesso, lascia perdere la forza, non seguire i potenti, di coloro che si nascondono al riparo delle tradizioni secolari per non aprirsi al futuro di Dio. Gesù è Colui che instancabilmente invita a questa conversione. Lo fa raggiungendo «gli uomini nel loro ambiente ordinario, nel loro posto di lavoro.» (B. Maggioni) Lo fa proponendo un modo di agire e di operare che nulla ha da spartire con la mentalità corrente: Gesù sceglie di partire dalla periferia, lontano dal centro; dà una in questo modo una indicazione precisa: «il giubileo della salvezza ha inizio là dove la gente è umiliata», subisce violenza e morte. Così deve aver pensato papa Francesco quando ha aperto la porta santa per il Giubileo della misericordia in Sudafrica. Gesù privilegia anche le zone di frontiera alla capitale. Non comincia da Gerusalemme! Per lui la fede ha le caratteristiche del rischio e dell’imprevedibilità, perché non ci sono risposte già pronte, «ma piuttosto domande e dubbi ricorrenti.» Dio sta in mezzo agli uomini e abbraccia le loro incertezze e le loro domande. E’ come se la fede fosse sollecitata più dal grido di giustizia che sale da tanta parte dell’umanità che da tanta sicurezza di tante nostre comunità ecclesiali. Questo mi sembra emergere dalla parola del Vangelo di oggi: una parola impegnativa, che invita a cercare il disegno di Dio per realizzarlo, come gli apostoli, sulle strade di Galilea. Ma ogni strada del mondo è Galilea e dunque i credenti, uomini di frontiera, possono prendersi cura della vita degli uomini e anche del sogno di Dio.
La fede esige intelligenza e coraggio nelle scelte e nel fare del bene, più che un adagiarsi sulle mode correnti, su un pensiero debole. Ne siamo convinti? Il nostro essere cristiani sa scrutare il futuro di Dio?
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