Basterà il grande Salvini-show per raggiungere l’obiettivo simbolico di conquistare la repubblica rossa per antonomasia? Al momento è tutto molto incerto, ma la questione non è quella, anche se al “capitano” e ai suoi competitori fa comodo presentarla così. Alla Lega andrebbe più che bene mostrare un vistoso balzo in avanti nei consensi elettorali anche senza raggiungere l’obiettivo di scalzare Bonaccini. Se l’obiettivo prioritario fosse stato quello, Salvini avrebbe scelto un suo candidato premier più adatto alla bisogna. Invece non l’ha fatto, perché il vero candidato è lui, non a governatore dell’Emilia, ma a futuro premier nel governo nazionale. E per quel fine gli basta vedere confermata una volta di più l’avanzata leghista, non solo in Emilia Romagna, ma anche in Calabria, terreno per lui più difficile, ma piuttosto significativo. Se infatti lì la Lega facesse un bel balzo in avanti, suonerebbe come una conferma che si sta cogliendo un trend, un cambio di vento, perché in quella regione del Sud Salvini non si è speso direttamente, non ha un candidato di qualche visibilità, e dunque la crescita sarebbe da attribuire alla ricezione dell’andamento nazionale.
Del resto il leader della Lega non ha veri competitori. Certo la Meloni lo lavora ai fianchi, cresce nei consensi, ma non al punto da mettersi veramente sullo stesso piano. Berlusconi è un desaparecido. Gli oppositori della maggioranza di governo non sfondano. Il premier Conte si tiene cautamente in seconda fila e infatti nella foto finale della conferenza di Berlino lì l’hanno costretto ad andare: quasi una metafora di quel che gli tocca in Italia. I Cinque Stelle sono impantanati nel loro caos interno e al massimo si rinchiudono nella sterile ripetizione dei loro mantra, che ormai non fanno più presa sul pubblico. Quella che doveva essere la sinistra radicale, cioè LeU, è ridotta a promuovere Bersani come il mattatore che salta da un talk show all’altro, peraltro raccontando una vecchia storia che è affascinante solo per un piccolo club di nostalgici.
Il PD sembra diventato afono. Nella settimana decisiva per la battaglia elettorale non si sente una proposta forte, una presa di posizione precisa. Al massimo un po’ di bassa tattica in politichese come con la diserzione della giunta per le autorizzazioni al Senato: pensavano di mettere in difficoltà Salvini e gli hanno solo illuminato di più il palcoscenico. Neppure Renzi riesce ad andare oltre un po’ di stalking alla maggioranza di cui fa parte.
Ci permettiamo di segnalare ai lettori un piccolo fatto che mostra quanto ormai ci sia una classe politica che non sa più di cosa si parla. Avrete notato che Salvini nel dipingersi come vittima di una giustizia che punisce le persone per bene si è paragonato a Silvio Pellico (improprio, ma passi) ed anche a Guareschi che sarebbe andato in galera per difendere la libertà. Beh, nessuno che noi sappiamo ha ricordato che Guareschi andò in galera nel 1954 per avere accusato sul suo giornale De Gasperi di avere scritto nel 1944 delle lettere agli Alleati in cui li invitava a bombardare Roma. Lo aveva fatto prendendo per buone lettere false e fu condannato per diffamazione, dopo di che volle andare in carcere anziché accettare qualche scappatoia perché voleva dimostrare la sua tempra. Lasciamo giudicare ai lettori se non sarebbe stato il caso di chiedere a Salvini e al suo staff di documentarsi prima di lanciarsi in certi paralleli. Non lo si è fatto perché, ammesso che se ne fossero accorti, ormai si pensa che tanto la gente non bada a queste… sottigliezze.
In definitiva il problema della politica italiana sta qui: avendo ridotto tutto a sceneggiate ci si è imprigionati in uno schema che rimanda sempre e quasi solo a colpi di teatro. Un modo molto rischioso di gestire le questioni aperte nel nostro paese.
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