Governo Conte, una rissosa compagine

Non passa giorno senza che non si veda qualcosa che fa dubitare di essere governati da un esecutivo che dispone di una maggioranza parlamentare. Un tempo era così perché esistevano i famosi “franchi tiratori”, ovvero parlamentari che nel segreto dell’urna votavano contro la linea politica decisa dal partito di appartenenza. Oggi contro l’esecutivo di cui fanno parte si pronunciano i suoi stessi membri, neppure sempre seguendo le linee del partito di riferimento, perché non mancano i casi di presa di posizione in dissonanza con queste.

Ad una situazione del genere corrisponde un parlamento trasformato troppo spesso in un palcoscenico di teatro, anzi di teatrino: si va dalle zuffe (queste peraltro esistevano anche in tempi più composti) alle dichiarazioni di matrimonio accuratamente preparate come si scoprirà poi. Non parliamo dell’oratoria e dei comportamenti che spesso non hanno nulla da invidiare a quelli dei tifosi negli stadi.

E’ possibile in un simile contesto che ci si occupi davvero di quelli che una volta si usavano chiamare “gli affari di stato”? La domanda suona come puramente retorica. Il recente dibattito sul Meccanismo Europeo di Stabilità è stato emblematico. Da una parte quelli che accusavano questa iniziativa, presa per cercare di disporre di qualche strumento per evitare che la debolezza di uno o più paesi della zona euro portasse a gravi conseguenze per tutti, di essere una perfida operazione per succhiare il sangue ai risparmiatori italiani. Dall’altra quelli che difendevano timidamente quelle norme, ma soprattutto si concentravano a dimostrare che gli accusatori appena un anno prima avevano avvallato tutto il procedimento. A parlare del complicato merito della faccenda, cioè della necessità di avere, in presenza di una moneta comune, strumenti di tutela della stabilità finanziaria dell’intera zona, e della inevitabilità che gli aiuti richiedessero ai beneficiari comportamenti virtuosi che prima non avevano avuto, non c’è stato nessuno o quasi.

Il tema del MES, così come quello dell’abolizione della prescrizione dopo le sentenze di primo grado, sono solo totem che servono per la più truculenta battaglia politica. Servono per bruciare l’attenzione su altre questioni piuttosto scottanti (il destino dell’ex Ilva; il dissesto cronico di Alitalia), le quali a loro volta erano state usate per mettere la sordina ai dibattiti su varie norme della legge di bilancio. A questo proposito si sarà notato che, mentre il dibattito pubblico sul tema si è spento, non passa giorno che non si riveda qualche norma che era stata annunciata come fondamentale (i POS imposti ai commercianti con multa se non li avessero adottati ora cancellata, tanto per fare un esempio), non si sposti in là qualche scadenza, non si rivedano tassazioni e prelievi.

C’è da chiedersi chi abbia in mano il timone di questa rissosa compagnia di ministri e sottosegretari. Non pare averlo il presidente Conte, così come non ce l’hanno i cosiddetti capi-delegazione. Anzi Di Maio ogni volta che si trova a dover discutere di un tema sgradito sembra se la cavi col ritornello: “se si presenta questo o quello, i miei non li tengo”. Che poi non sia una affermazione tanto per giustificarsi lo si vede dall’osservazione di quel che avviene in parlamento: alla Camera i Cinque Stelle non riescono neppure ad eleggere un capogruppo; al Senato sono di fatto tenuti in ostaggio da Toninelli e dalla Lezzi, due personaggi che non ci sembra abbiano la statura di un Churchill.

Del resto il potere pentastellato non deriva solo dal fatto di essere il maggior partito in parlamento, ma anche dalla debolezza del PD, che continua giustamente a lamentarsi dell’inaffidabilità di Di Maio e compagnia, ma che non sa come fare a tenerli sotto controllo. Del resto il partito di Zingaretti, già a sua volta con non pochi problemi di correntismo interno, ha le mani legate sino a che siamo in sessione di bilancio: non può certo prendersi la responsabilità di rompere ora e di consegnare il paese all’esercizio provvisorio, cioè praticamente al blocco di qualsiasi possibilità di manovra per governo e parlamento, a prescindere dal loro colore.

Si dice che tutto questo potrà durare giusto sino alla approvazione della legge di bilancio, poi si sarà nell’anno nuovo e i giochi si riapriranno. Può darsi, da tanti punti di vista è persino probabile, ma saranno “giochi” collocati in uno scenario sempre più degradato.

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