FEM, memoria e futuro: parla Marco Dal Rì

San Michele all’Adige con l’Istituto Agrario e la Fondazione Mach – foto Gianni Zotta.

Il 12 gennaio 1874 la Dieta di Innsbruck deliberava di avviare a San Michele all’Adige una scuola agraria con annessa stazione sperimentale, per ridare vita all’agricoltura in Tirolo. Una felice intuizione, rafforzata, alla fine degli anni Cinquanta, dall’attivazione dell’Istituto Tecnico Agrario.

Oggi a San Michele, sotto l’ombrello della FEM – Fondazione Edmund Mach (Mach fu il primo direttore dell’Istituto agrario) coesistono istruzione, formazione professionale e alta formazione, ricerca e innovazione, trasferimento tecnologico. Una buona parte di questa lunga storia l’ha vissuta in prima persona, prima da allievo, poi da docente e infine, fino al pensionamento il primo novembre scorso, da dirigente del Centro Istruzione e Formazione, Marco Dal Rì.

Gli è subentrato il vice, Ivano Artuso, in attesa della selezione del nuovo dirigente.  “Ci sono ottimi docenti nostri, già allievi dell’Istituto, che potrebbero concorrere. Vedremo”, butta là Dal Rì off the record. “Sono entrato ragazzino, nell’anno scolastico 1971-72, e ne sono uscito quest’anno”, osserva Dal Rì con un lampo che gli illumina gli occhi. “Devo dire che ho sempre sentito l’Istituto agrario come la mia famiglia e credo che, al di là degli errori che umanamente posso aver commesso, chi ha lavorato con me in questi anni riconosca la passione e l’affetto che ci ho messo”.

L’Istituto agrario ha visto crescere la propria reputazione, è una scuola gettonatissima (un migliaio di studenti all’anno, anche da fuori regione), tanto che anche quest’anno sarà a numero programmato, o “numero chiuso” che dir si voglia (gli studenti interessati devono registrarsi per il test d’ingresso dal 4 novembre al 1 dicembre).

Dal Rì, cosa vi fa dire dell’Istituto agrario che rappresenta una realtà unica in Italia?

Alla fine dell’800 il Trentino viveva una crisi durissima, non si sapeva coltivare la terra, c’erano nuove malattie delle piante, la produzione agricola era calata. La Dieta di Innsbruck scelse di investire sulla formazione e nella ricerca applicata. Scuola e ricerca applicata, insieme, sono state l’arma vincente. E lo sono anche oggi.

Oggi l’Istituto agrario è uno dei tre poli attraverso cui si realizza la missione della Fondazione Mach. Resta l’impressione che l’opinione pubblica trentina non si renda conto di avere in casa una simile realtà.

Concordo. Probabilmente la gente trentina conosce meglio l’Istituto agrario, mentre sotto lo stesso tetto della FEM si svolgono attività che coprono tutto il comparto agricolo: ricerca di base, applicata, sperimentazione, assistenza tecnica. Forse per questi aspetti la Fondazione è più conosciuta fuori dal Trentino.

Ben vengano le “porte aperte”…

Comunicare le cose che si fanno è importante e difficile, occorre trovare i canali giusti.

Si potrà vedere come a San Michele convivono formazione e ricerca.

I nostri studenti l’alternanza scuola lavoro la fanno presso aziende esterne, ma anche nei nostri laboratori a contatto con i nostri ricercatori, nella nostra azienda agricola, con i nostri tecnici dell’assistenza. C’è uno scambio continuo.

Ecco spiegata l’unicità.

Se saprà mantenere queste caratteristiche, non ci sono timori per il futuro della scuola, che resta una realtà che la Provincia può tenersi stretta.

È forte anche lo scambio tra Fondazione e cooperazione agricola, il cui ruolo nella diffusione della conoscenza è stato evidenziato di recente da Euricse.

Il primo luogo dove ci sono confronto e scambio è il consiglio di amministrazione della Fondazione, dove siedono i rappresentanti del mondo cooperativo. I nostri studenti fanno esperienza della cooperazione in ambito agricolo. E i nostri tecnici fanno formazione alle cooperative.

Il dirigente del Centro Istruzione e Formazione, Marco Dal Rì, in pensione dallo scorso primo novembre

Il documento che detta gli indirizzi della Fondazione per il futuro, “Vision 2019-2028”, che il presidente Segrè illustrerà sabato 9, quanto è permeato dalle istanze che provengono dal mondo agricolo e dalla società civile?

Sono molte le istanze che vengono dal mondo della cooperazione, e non solo.

Il tema forte che la Fondazione dovrà affrontare nei prossimi anni?

Il rapporto agricoltura-ambiente. Si tende a evidenziare soprattutto le contraddizioni, ma l’agricoltura è un’attività che può custodire l’ambiente.

Pensiamo ad esempio alle Terre Alte. C’è un ritorno effettivo, anche dei giovani, o è più una tendenza passeggera?

Non abbiamo dati che ci indichino una tendenza. C’è sicuramente un ritorno ad attività che avevano perso interesse. Come Fondazione, con l’avvio, da qualche anno a questa parte, della formazione professionale abbiamo sicuramente favorito la permanenza dei giovani nelle aziende agricole di famiglia.

Vediamo diffondersi nuove attività, come le fattorie didattiche o la coltivazione di piante officinali.

Si tratta di esempi interessanti, ma ancora non molto diffusi. Vanno monitorati, perché ci dicono che se ci sono le idee il mondo agricolo ha ancora tanto da dare.

Un ponte tra Fondazione e accademia è il Centro Agricoltura Alimenti Ambiente (C3A), che compie tre anni. Il bilancio?

Il C3A è sede di riferimento per il Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia. Il corpo docente proviene dalla Fondazione.

Questo travaso di ricercatori non rappresenta un potenziale impoverimento della Fondazione?

Direi che è una valorizzazione del nostro corpo docente. Ora abbiamo una filiera formativa completa. Dipende da come la Fondazione giocherà questa carta.

Tra le questioni emergenti nel mondo agricolo, quella legata al dibattito sulla gestione dei grandi carnivori (orso e lupo).

La convivenza è difficile, ma si può risolvere solamente con la ricerca, la sperimentazione, il dialogo e la comunicazione. Su questo la Fondazione può fare molto.

Da docente, prima, e da dirigente scolastico, poi, ha visto passare molti giovani a San Michele. Come è cambiato il mondo giovanile?

Non è cambiato il mondo giovanile, è cambiato il mondo, il contesto in cui sono immersi. I giovani sono sempre gli stessi: sono disponibili a mettersi in gioco, a credere nelle cose che fanno, ma devono trovare gli stimoli e trovare chi, in modo coerente, trasmetta loro valori e indichi obiettivi, che ne valorizzi carismi e potenzialità. Credo che San Michele sappia farlo.

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