Alvaro Torchio porta il lettore nelle calli della Serenissima nel 1734… sulle tracce di Antonio Vivaldi
Il “bersaglio grosso”, l’obiettivo finale, è nientemeno che il grande compositore Antonio Vivaldi, il “prete rosso”, che, a detta del killer, raccoglie in sé una serie di peccati che ben gli farebbero meritare la pena capitale. Non solo era dispensato dal dir messa, “mancando al proprio dovere di religioso consacrato”, ma componeva musiche dal contenuto licenzioso e immorale guadagnandoci pure. E c’aveva pure l’amante. Così, almeno, si mormora nei salotti veneziani.
Che il folle invasato, assassino a difesa dei valori cristiani, certo distorti o comunque mal interpretati, sia riuscito a far fuori, o meno, l’illustre veneziano, ovviamente non è da svelare. Lasciamolo ai lettori di “Malicidio veneziano”, per ora ultimo romanzo di Alvaro Torchio, insegnante in pensione da qualche anno, di cui ricordiamo il precedente “Luce e tenebra. Vita di Torquato Tasso”, ma che, nella sua biografia letteraria, ha all’attivo altri lavori che stanno dalle parti del thriller.
Il romanzo, pubblicato da “Stampa Alternativa Nuovi Equilibri” di Viterbo, 237 pagine, sarà in libreria a breve. Per i non addetti, e noi tra questi, vale la pena dar conto di quel termine, “malicidio”, nel titolo. Da Wikipedia: “Dal latino malicidium, termine introdotto da Bernardo di Chiaravalle per indicare l’omicidio di un non cristiano in guerra, quando non vi sia altro mezzo per impedire il male che commette”. E qui Bernardo da Chiaravalle c’entra, eccome, mentre il resto va adattato al plot e, con un’accezione “larga”, ci può stare.
Va detto che prima di provarci con Vivaldi il carnefice ne fa fuori sei, tra frati, preti e novizie (anche di alto lignaggio), tutti a suo modo, nella sua mente bacata – “giansenista”, per l’autore – colpevoli di peccati che con quell’abito addosso proprio non si dovrebbero commettere.
Non ammette fragilità, il nostro, va dritto per la sua strada, anzi, lungo le calli della Serenissima datata 1734 o approdando ad alcune delle tante isole della Laguna, rifugio e nascondiglio.
Ad indagare, Alvise Corner, magistrato inquirente laico e libertino che la Serenissima in cuor suo la sopporta poco, capace com’è di venir a patti con il Patriarcato. Ma si sa, a quei tempi trono e altare avevano più di un interesse in comune. Magistrato che trova “sponda”, aiuto, nel francescano trentino Benedetto Bonelli, in Laguna alla ricerca di testi e scritti di Bernardo da Chiaravalle.
Non è che i due, viste le biografie, vadano poi così d’accordo, ma certo è che il frate dà una gran mano al magistrato che con quelle scritte in latino, enigmi per chiunque non conosca lingua e testi sacri, lasciati a firma sul luogo di ogni delitto, poco ci capisce, se non nulla.
Romanzo di genere, anche “storico”, “Malicidio veneziano” scorre, si legge d’un fiato. Una maggiore asciuttezza magari non sarebbe guastata ma, letti anche altri scritti lagunari pubblicati da editori nazionali e quindi a maggiore diffusione, che magari si sono guadagnati servizi nelle pagine culturali dei grandi giornali, non sfigura. Ma questa è un’altra storia.
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