Adesso le questioni diventano serie

La legge di bilancio va approvata fra non molto, ma i segnali sono confusi

Non c’è nulla di storico nella decisione di imporre un drastico taglio nel numero dei parlamentari: è un pegno alla capacità di interdizione di M5S, prima pagato dagli alleati nel governo gialloverde (che non hanno potuto smentirsi), ora dai nuovi alleati che hanno cercato invano di far passare la loro scelta per una decisione dettata dal cambio di prospettiva assunto dalla normativa. A smentirli platealmente, mostrando che M5S ha perso le penne ma non il vizio (del grillismo), ci ha pensato la sguaiata manifestazione messa in scena dopo l’approvazione della riforma, tutta all’insegna del taglio per il taglio nel più puro stile populista.

Il PD imparerà qualcosa da questa lezione? Ne dubitiamo, perché non ha alternative all’alleanza coi Cinque Stelle e sa dunque che su una serie di cose sarà sempre sotto ricatto. Del resto li sta inseguendo per averli alleati nelle prossime elezioni amministrative (regionali e non), consapevole che senza di loro le sue possibilità di vittoria si assottigliano molto. In queste condizioni non può fare certo lo schizzinoso.

Sappiamo benissimo come ragionano i politici: cosa volete che sia dargliela vinta su qualche battaglia di bandiera (o di bandierina), se possiamo convertirli ad una azione responsabile su cose ben più importanti come la legge finanziaria che si andrà ad approvare? Sono terreni su cui sarebbe bene andarci un poco più cauti, se solo si conosce un po’ di storia. Del resto l’inaffidabilità di M5S è stata subito resa palese dalle manifestazioni che abbiamo appena ricordato: non è passato loro neppure per la testa che avevano appena sottoscritto martedì sera un testo in cui si impegnavano ad una serie di riforme “di contorno” che nell’ottica, temiamo colpevolmente ingenua, del PD avrebbero dovuto dimostrare che non di un populistico taglio di poltrone si trattava, ma di una rimodulazione ragionata del sistema di rappresentanza parlamentare.

In verità il primo ad inneggiare al taglio delle poltrone era stato a suo tempo Renzi per quanto aveva previsto nella sua riforma costituzionale, buttando così alle ortiche una serie di misure che avrebbero potuto, magari un po’ aggiustate e riviste, risolvere alcune debolezze storiche del nostro sistema parlamentare (per esempio il Senato fotocopia della Camera – ma adesso lo sarà ancora di più).

Naturalmente la speranza di molti è che, passata l’ubriacatura per la “vittoria”, Di Maio e compagni si mettano a cooperare per affrontare i problemi che incombono sul paese. I primi sono legati alla legge di bilancio che va approvata fra non molto, ma anche qui i segnali sono confusi. In una situazione in cui scarseggiano le risorse da impegnare si lascia che tutti possano buttarsi a proporre interventi della natura più disparata. Poi magari vengono smentiti in fretta, ma intanto la confusione è grande. Prendete la questione della tracciabilità dei pagamenti. Tutti siamo stati testimoni del profluvio di dichiarazioni contro l’uso del contante, che andava tassato con un sistema che qualunque persona dotata di sano realismo non poteva che giudicare cervellotico. Poi mercoledì il ministro Gualtieri ha smentito ogni ipotesi di tassa sul contante (ma naturalmente non siamo sicuri che non si cambi idea nei giorni seguenti).

Ora vorremmo sommessamente far notare che nel pieno bailamme della scrittura della Finanziaria (è sempre così anche quando la situazione è buona) ci si è impegnati a produrre una proposta di riforma della legge elettorale (collegi compresi). Chiunque sappia cosa significa un’operazione del genere non può che sentirsi preso in giro. Non c’è in campo alcuna idea condivisa, gli interessi dei partiti sono piuttosto conflittuali, e si pensa che sarà possibile discutere serenamente di un tema così delicato mentre al contempo si devono decidere interventi complicati sulla finanza pubblica? Per crederlo ci vuole ben più di un atto di fede.

Si scommette che a tenere tutto sotto controllo provvederà la quasi impossibilità di uno scioglimento anticipato della legislatura. Oltre a varie ragioni tecniche c’è la consapevolezza degli attuali deputati che ci saranno 345 posti in meno e che si dovrà competere in collegi divenuti più ampi di almeno un terzo, dunque con notevoli difficoltà di raccogliere il consenso. Tutto vero, ma se si finisce nella palude della lotta di tutti contro tutti, non si può contare davvero sulla tenuta del sistema.

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