Con il “Progetto mojeno” il Trentino contribuisce alla difesa dell’identità culturale delle comunità indigene
“Si sentono vulnerabili”; “desiderano essere accompagnati”; “la presenza della Chiesa e dei cristiani è per loro rassicurante”. Sono frasi significative dette da padre Fabio Garbari parlando dei “suoi” indigeni dell’Amazzonia boliviana. Padre Fabio – gesuita, sessant’anni di cui più della metà vissuti in Bolivia – ha dedicato la propria vita alla causa dei più dimenticati ed oppressi, prima sulle Ande, a 4000 metri di altezza, e adesso, da 6 anni, nella selva amazzonica. In un’area vastissima di 24 mila km quadrati composta di ben 70 villaggi e comprendente 5 gruppi etnici.
E’ in questi giorni in Trentino, padre Garbari, la sua terra natia, ed accompagna un piccolo gruppo di studenti e intagliatori del legno, grazie ad una collaborazione con il liceo artistico “Soraperra” di Pozza di Fassa e alla speciale sinergia che si è instaurata con la fervente galassia che ruota attorno agli amici di Villa Sant’Ignazio (un gentile sodalizio moltiplicatore di idee e iniziative che producono del bene e fanno bene). Questi giovani boliviani si trattengono un paio di settimane e il soggiorno si sta rivelando proficuo ed intenso in tutti i momenti di incontro, con gli studenti e con la gente.
Sappiamo che l’Amazzonia è sotto attacco proprio in questa stagione di incendi dolosi che vengono spenti e poi artatamente riaccesi, per distruggere la foresta e creare aree adatte al pascolo e alla coltivazione di soia. Nel mirino dei potenti e prepotenti sono le popolazioni che da sempre vi abitano, gli indios, appunto; ecco perché “vulnerabili”: perché si sentono di fronte a un ordito interno e internazionale che tende a cacciarli, sconfiggerli, con la grave e attuale minaccia di farli scomparire. E allora è molto importante percepire, da parte loro, l’affetto e la solidarietà attorno, per sentirsi meno soli, per poter affermare i loro diritti, prima di tutto il diritto alla vita, per poter continuare ad abitare la terra dei loro padri, crescervi i figli e avere un futuro.
Padre Fabio sottolinea con forza come il Sinodo sull’Amazzonia che si avvia in questi giorni è un fatto molto importante che gli indigeni sentono come un “loro” avvenimento ecclesiale mondiale. L’intuizione di Papa Francesco è stata proprio questa, quando l’ha istituito circa un anno e mezzo fa all’incontro di Puerto Maldonado, in Perù: una grande assise mondiale in cui i popoli della foresta e delle acque potessero essere protagonisti in prima persona. E il Documento preparatorio rispecchia quelle che sono le preoccupazioni, le istanze e le speranze delle comunità indigene. “La gente si è sentita rappresentata!”. Forse per la prima volta è l’occasione per ascoltare quello che hanno da dire: e sono le medesime, identiche preoccupazioni dei tantissimi ragazze e ragazzi che hanno manifestato in tutto il mondo per il destino della terra.
Adesso – osserva il gesuita trentino – si tratta di portare avanti queste istanze, rappresentarle e non deludere le speranze di tanti piccoli, tenaci popoli resistenti. In tal senso il “Progetto mojeno” di San Ignacio de Mojos, la comunità dove opera padre Fabio, va nella direzione auspicata. Con il sostegno della Provincia Autonoma di Trento che ha stanziato circa 80 mila euro in tre anni, il progetto prevede il recupero di un’antica chiesa di legno risalente alla fine del 1600, all’epoca delle “Missioni” gesuitiche, e il restauro di antiche partiture musicali indigene con la creazione di un nuovo coro giovanile per implementarle.
Sono un significativo esempio di difesa e valorizzazione dell’identità culturale degli indios. Perché prima di tutto questi popoli devono essere riconosciuti nella loro storia e cultura, nelle tradizioni e nella stretta simbiosi con la foresta. Hanno molto da dirci e insegnarci, è quello che gridano le ragazze e i ragazzi del Fridays for future. Un solco di memoria esistenziale e di lotta propositiva in cui si inserisce un Sinodo inedito e tutto da seguire con attenzione e passione.
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