Montagna involgarita, un futuro boomerang

Il Trentino deve fermarsi davanti a questa bulimia “turistica” di cifre e soldi

Lo spunto

Caro De Battaglia, alla fine di agosto ho assistito su una tv locale a un lungo servizio promozionale dedicato alle serate per turisti in vetta al Cermis – presso i nuovi “rifugi” dal design avveniristico, ai quali si accede con gli impianti o con i suv – con tanto di ostriche, degustazione di spumanti, musica dal vivo a tutto volume. Quasi una sintesi della lunga sequenza di notizie e immagini che hanno costellato le cronache trentine dell’ultimo periodo, raccontando dell’imbarbarimento culturale che contraddistingue il turismo nell’area dolomitica. Le altre immagini possono riguardare la Val di Fassa e i passi in agosto, ridotti a una perenne colonna di automobili e a un immenso parcheggio per camper; le richieste di ampliamento del demanio sciabile nell’area (protetta) Adamello Brenta, con i relativi progetti di meccanizzazione della montagna; i raduni di rombanti fuoristrada in Primiero; l’opaco progetto Translagorai, che inciderà su una delle poche aree vergini e incontaminate del Trentino; la ciclabile del Garda, pronta a ingabbiare le pareti e le calette tra Torbole e Malcesine con le sue passerelle a sbalzo sul lago. Ci sarà un limite a questo consumo dissennato e involgarimento generale del territorio?

Maurizio Gentilini

Rovereto – Roma

Questa lettera, caro Gentilini, esprime bene ciò che molti, moltissimi trentini hanno provato questa estate: quasi un senso di rifiuto per un turismo che sembra promosso soprattutto per riempire contenitori di presenze e soddisfare capricci annoiati (le ostriche in quota) lontano da un’ospitalità di natura, cultura e identità. Non da oggi, ma questa estate in particolare, è sembrata segnata da un uso volgare (e ci fermiamo a questo aggettivo) di un territorio prezioso e bellissimo, che è non solo una risorsa di economia, ma un riferimento di storia e di stile: per chi lo abita prima ancora che per chi lo visita. Sono molti i segnali d’allarme e la sua lettera ne dà testimonianza. Con troppe esasperazioni di mercato sta infatti maturando – questa è l’impressione – una sorta di divorzio fra il Trentino, i Trentini e il loro turismo, mentre cresce, nonostante i “numeri” una febbre di malessere e scontentezza, segnalata anche dal fatto che molti giovani, pur in cerca di lavoro, non vogliono farne i “servi”. Cercano altrove, se ne vanno.

Forse mai come questa estate i comunicati di Provincia e Apt sono stati tanto trionfali: migliaia, milioni, miliardi … Ed è certo bene che il turismo cresca, che “l’industria del forestiero” come un tempo si diceva, porti benessere e sviluppo, ma l’impressione è che le cifre si ottengano raschiando il fondo del barile … Che proposta turistica sono, infatti, le file d’auto – assurde, un autentico boomerang – sulla strada delle Dolomiti, o dentro e fuori, proprio un “mordi e fuggi” di poche ore dalla Valle di Genova? Il punto è – come lei scrive – che il Trentino sta gettando via la sua montagna, e con la montagna, se stesso. Ha ragione l’assessore Tonina a dire che i Parchi devono servire a valorizzare l’economia alpina tradizionale, l’allevamento (lo scrivevano già Susat, Sat e Sosat nel 1968 nel pieno della dura battaglia contro la sciagurata funivia del Brenta, che avrebbe scardinato tutto il massiccio dolomitico – ed ora la battaglia s’è spostata ai Serodoli) ma non è “valorizzazione” se Pinzolo, presidio delle più belle montagne del mondo, presenta come suo biglietto da visita i poster dei Suv, l’automobile che diventa padrone della montagna e la piega alla sue ruote, non l’uomo e la donna che la vivono. E non è convivialità alpestre mangiare a due, tre o quattro stelle (a volte è meglio un panino o una fetta di polenta) sulla cabina di una funivia invece che in una stube. E’ marketing per annoiati e sazi, e può andar bene per giocare, ma tutti sanno che non si costruisce così il futuro di un territorio, né così si motivano le nuove generazioni. L’estate 2019 dice quindi che non solo i ghiacciai si stanno sciogliendo, che chi ha oggi vent’anni non solo non li vedrà in età matura, ma dovrà fare a meno anche della loro acqua, ma dice che è urgente cambiare comportamenti, individuali e collettivi, vivendo una montagna d’armonia e limiti, non di sfruttamenti ed eccessi.

Il Trentino deve fermarsi davanti a questa bulimia “turistica” di cifre e soldi. L’impressione, infatti, è che si sia rotto il meccanismo d’equilibrio fra presenze e risorse locali, portando ad una crescita che ormai si verifica al di fuori di una cornice infrastrutturale adeguata. Per cui bisognerebbe invece da un lato investire di più (in trasporti alternativi, in famiglie che lavorano) e dall’altro osservare più precisi limiti ( “fermare” la gente, non solo richiamarla) e difendere i diaframmi di natura di cui la montagna, in un mercato turistico di massa, ha bisogno, così come la musica, anche la più sfrenata, ha bisogno di stacchi, di respiri. “La pausa – ci insegnava la nostra maestra di pianoforte – ha lo stesso valore della nota”. Dovrebbero tenerne conto anche pianificatori e “promotori”. La montagna non può diventare la fotocopia delle metropoli da cui si fugge. Quando la montagna diverrà anch’essa “città”, stadio di giochi ed “eventi”, annoierà anch’essa e verrà abbandonata. L’originale viene sempre preferito alla copia. E allora il Trentino diverrà veramente marginale. Noi siamo orgogliosi di questa terra per la sua natura, i suoi uomini, la sua cultura di solidarietà, ma belle montagne, libere e non umiliate, ce ne sono tante nel mondo.

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