Era da attendersi che Di Maio da un lato e Renzi dall’altro non rinunciassero al protagonismo da talk show
E’ arrivata anche la scadenza del DEF, il documento con cui si dichiara in prospettiva la strategia di bilancio che il governo intende poi applicare con la legge finanziaria che arriverà fra poco. Sostanzialmente sono linee guida che dovranno poi trovare applicazione concreta. Si potrebbe dire che il bello arriverà allora, non fosse che le avvisaglie, e pesanti, ci sono già state.
Le nostre condizioni, con un deficit stimato ormai al 135% del PIL, non sono certo brillanti, ma nessun governo ha il coraggio di dirlo: fa perdere voti. Così anche questa volta si è traccheggiato condizionati da due spinte, ciascuna a suo modo perversa. La prima è l’obbligo di compiacere le mode del momento. Adesso sono per esempio gli investimenti nell’economia verde, cosa in sé positiva, ma non se diventa semplicemente una bandierina, mescolando demagogia a buon mercato (il voto ai sedicenni) e minacce di contenimento dei favori verso chi usa fonti inquinanti. Viste le rilevazioni che ci sono sulle capacità analitiche dei sedicenni e considerando l’esperienza concreta non si vede quali vantaggi ci sarebbero a incrementare il numero di quelli che votano sull’onda delle emozioni. Quel numero è già molto alto ed è banale dire che ci sono sedicenni più responsabili di trentenni o cinquantenni, ma non è sufficiente per giustificare l’inserzione nel nostro sistema elettorale, già scassato, di una ulteriore variabile a rischio.
Quanto ai tagli alle facilitazioni per l’uso di carburanti inquinanti, ci limitiamo a ricordare che si toccano settori delicati nel nostro equilibrio economico come il trasporto su gomma o l’agricoltura. Anche quelli sono blocchi di voti e vediamo se davvero si penserà di avventurarsi su quelle piste.
La seconda spinta perversa è la natura stessa della coalizione che sostiene il governo, la quale mostra assai poca omogeneità. Era da attendersi che Di Maio da un lato e Renzi dall’altro non rinunciassero al protagonismo da talk show, ma si poteva pensare che il governo predisponesse una tecnica di contenimento preventivo, evitando per esempio che si avanzassero ipotesi di interventi su cui poi i due potessero sparare liberamente. Che si dovesse impedire l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia allegramente predisposte dai governi precedenti tanto per rinviare i problemi era stato il mantra di tutta l’estate. Anzi si era proclamato che il nuovo governo si doveva fare proprio per evitare che scattasse quella trappola. Invece si è innescato un pasticcio: il responsabile dell’economia faceva filtrare che qualcosa si sarebbe stati costretti a fare, sia pure battezzandolo pudicamente come una “rimodulazione” dell’Iva; immediatamente Di Maio e Renzi si buttavano ad acquisire per sé l’immagine di quelli che pronunciano il fatidico “no pasaran”; infine Conte poteva fare il risolutore annunziando che i famosi 23 miliardi per bloccare l’automatismo delle clausole di salvaguardia si erano trovati. Poi si glissava sul fatto che così però per far quadrare le cifre della manovra da 30 miliardi ne mancavano ancora dai 5 ai 7, ma sembrava un dettaglio.
Come si vede un approccio che non depone a favore della solidità del governo. Eppure a farlo saltare non pensa veramente nessuno di quelli che spargono mine sulla sua strada. Con una serie di elezioni regionali che incombono, con l’opposizione di Salvini che preme minacciosa e che conserva ancora un ampio consenso, nessuno dei quattro azionisti del Conte bis pensa davvero di metterlo in crisi. E’ tutto un gioco di bluff nella speranza di condizionare da un lato l’opinione pubblica e dall’altro gli equilibri interni alla compagine ministeriale. Più in là sarà difficile che si vada, a meno che non prevalgano cecità suicide in qualcuna delle forze in campo.
Il premier Conte si rafforza in questo contesto, perché appare sempre più come il punto di equilibrio della sua maggioranza e come il timoniere in grado alla fine di tenere sotto controllo le risse fra la sua ciurma. Tuttavia si dovrebbe ricordare che quella forza non gli deriva veramente da un suo carisma particolare, ma dalla mancanza di alternative che condiziona i suoi inquieti alleati.
Questa situazione reggerà se alle prove delle elezioni regionali il centrodestra non sfonda e se sia i Cinque Stelle che il PD mantengono i loro consensi (Renzi al momento si tiene fuori, sebbene sia da aspettarsi che qualcosa per saggiare la sua presa la faccia, sub specie di qualche lista civica). Se non andasse così la tenuta del governo sarebbe più che a rischio.
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