Attirare. Avviare. Accompagnare. Il vescovo Lauro all’avvio dell’anno pastorale: “Faremo l’agenda insieme”

Somm: L’Arcivescovo spiega l’obiettivo delle otto assemblee pastorali che in autunno puntano a fissare gli obiettivi concreti di ogni zona pastorale: “Io m’impegno – soprattutto ad ascoltare”

somm2. “Quando parlo di umanità di Gesù mi riferisco all’unico che può fregiarsi del titolo di pienamente uomo”

“E’ giusto che come Chiesa non si faccia mai speculazione finanziaria; è anche doveroso utilizzare le strutture in modo razionale, lo esige lo stesso criterio di sobrietà”.

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Trento, 18 settembre 2019 – Suona anche per don Lauro la campanella di settembre, quarto Anno pastorale da vescovo. Lo affronta con l’energia del primo giorno – l’elettroTisi l’avevamo denominata – ricaricato dalla Messa mattutina con gli universitari. Una scossa in più, sabato scorso a Bressanone, gli è venuta dal triplice richiamo bergogliano ad ogni nuovo vescovo: “Attirare, avviare alla fede e accompagnare il popolo di Dio” (vedi pag. 15). Tre verbi citati da mons. Muser che Tisi approfondisce in questo colloquio con Vita Trentina alla vigilia delle assemblee pastorali d’autunno.

Don Lauro, partiamo dallo sguardo ad un’estate in cui Lei si è riposato poco, anche se è sembrato ristorarsi nell’immersione in tante piccole comunità. Cosa resta, come peso e come regalo, nello zaino episcopale dopo questi mesi?

Mi hanno colpito alcuni episodi – in agosto quello di Romallo, sul quale ho invocato compassione, non giudizio – che ritengo punte di un iceberg di sofferenza nascosta e molto profonda in tante nostre nostre famiglie. Un disagio grave spesso invisibile anche ai servizi sociali, questa sofferenza che abita le nostre case. Ci richiede maggior attenzione e dedizione.

E i ricordi estivi più positivi?

L’invito per una sagra o in una ricorrenza in tanti paesi mi ha fatto gustare una Chiesa vivace, mi ha confermato come le piccole realtà sanno vivere appieno l’essere comunità nella semplice convivialità.

Proprio dalle valli trentine si riparte dal 5 ottobre con altre otto Assemblee zonali fino a novembre. Cosa ci si propone rispetto alla “prova” dello scorso anno?

Non sarà una ripetizione, la formula sarà diversa, ma l’esigenza di rivedersi viene dai territori stessi. Personalmente vado ora soprattutto per ascoltare, per raccogliere le criticità emerse in quest’anno di lavoro. L’obiettivo è cercare insieme il modo di affrontarle, arrivando a fissare un’agenda – che sarà diversa zona per zona – da seguire localmente in questo nuovo Anno.

Si prende atto che ogni Zona ha un volto proprio…

C’è grande differenza, non possiamo più parlare di una pastorale unica nella nostra vasta diocesi. Questo è il dato più forte emerso lo scorso anno: quanto vale in una Zona, non vale nell’altra e quindi è importante il discernimento locale. Quest’anno in particolare nel pomeriggio approfondiremo l’ambito della carità, dove ogni zona ha situazioni e risposte diverse.

Non si torna indietro.

E’ stata superata, senza troppi traumi direi, l’articolazione. Dappertutto vedo che ci si muove, le strutture zonali si vanno formando, non si sono ancora consolidate, ma il processo è avviato.

Sabato 21 settembre c’è la presentazione, per il secondo anno, di un Rapporto che non è peraltro solo economico. A proposito dei beni resta diffusa la perplessità di chi ritiene che la Chiesa trentina non dovrebbe avere problemi di sostenibilità finanziaria.

Anticipo alcuni aspetti che riprenderemo sabato nell’assemblea a Trento. Intanto, la trasparenza e il “rendere conto” ad ogni livello è dovere di comunità adulte e mature. La sostenibilità, poi, deriva anche da un’esigenza evangelica di vivere normalmente nella sobrietà attraverso una saggia programmazione di quanto ci attende non solo domani, ma anche dopo domani. Senza questo lavoro, si rischia di commettere alcuni errori compiuti in passato, ad esempio producendo strutture sproporzionate o costose, che talvolta restano vuote.

Mi rendo conto però che nell’immaginario collettivo fa ancora fatica a farsi strada questa riflessione. Eppure dobbiamo dirci che le risorse non sono infinite. E anche se ci fosse un ipotetico pozzo di san Patrizio al quale attingere, esso andrebbe gestito in modo corretto ed evangelico. E’ giusto che come Chiesa non si faccia mai speculazione finanziaria; è anche doveroso utilizzare le strutture in modo razionale, lo esige lo stesso criterio della sobrietà.

Insieme a mons. Bressan lei è reduce da un lungo confronto dei vescovi triveneti col presidente Cei card. Bassetti e dalla toccante ordinazione episcopale di mons. Michele Tomasi. Cosa riporta da Bressanone?

Mi è piaciuto il fatto che l’amico Tomasi si sia presentato anche come un frutto della Chiesa altoatesina – per tutti dovrebbe essere così – e sia pronto a portarsi dietro questa storia e dare tutto se stesso nella nuova ‘casa’. Mi ha colpito anche la reliquia di Mayr Nusser che mons. Muser gli ha regalato con un richiamo alla coerenza evangelica in tempi difficili: vale anche per noi trentini.

Mons. Muser ha ricordato i tre verbi che Papa Francesco indica negli incontri con i vescovi di recente ordinazione: “incantare e attrarre, avviare alla fede e accompagnare il popolo di Dio”. Lei come li sente?

Penso che il primo verbo – attirare – dovrebbe essere l’obiettivo di una Chiesa. Per me è l’umanità di Cristo che attrae. In questa umanità abitano insieme la pienezza dell’umano e la pienezza di Dio. Cioè, quando finisci di esplorare l’umano di Gesù hai incontrato la pienezza di Dio, c’è una coincidenza quindi.

A proposito, però, c’è chi sostiene che nel suo magistero prevale una dimensione troppo orizzontale, sbilanciata sulla priorità delle relazioni, dell’ecologia, dell’aiuto sociale, e quindi poco attenta all’annuncio di Cristo.

Queste osservazioni mi spingono a cercare di spiegare ancora e meglio l’idea del “Dio capovolto” in cui insisto fin dall’inzio del mio episcopato.

La mia chiave è dire Dio attraverso la narrazione dell’umanità di Gesù Cristo. Ma – attenzione – quest’umanità di Gesù Cristo è la pienezza di Dio, come ci ricorda San Paolo. Quando parlo di umanità di Gesù mi riferisco all’unico che può fregiarsi del titolo di pienamente uomo. La nostra umanità, anche quella dei migliori, compresi quanti veneriamo come santi, presenta peccati, lacune e ferite. Viceversa, quando ho esplorato l’umano di Gesù Cristo incontro la pienezza del divino. Non è quindi una riduzione orizzontale, mi rifaccio semplicemente a una bella espressione di Santa Teresa d’Avila che osservava come “non abbiamo altro modo che parlare di Dio che partire dall’ umanità di Gesù”. O da quanto “i nostri piedi e le nostre mani hanno toccato” nella concretezza come dice il Vangelo o come testimoniano i santi cristiani, come Francesco.

Il secondo verbo affidato dal Papa ad ogni vescovo è “iniziare alla fede”.

Mi piace, perché fa capire che il vescovo non è da solo ad avviare alla fede ma partecipa con gli altri. Siamo tutti chiamati ogni giorno a cominciare, la fede non è un traguardo. Anche un vescovo non dà un codice valido per sempre, avvia un processo.

“Come goccia”, per citare l’immagine della sua lettera a San Vigilio, richiamo alla pazienza e alla costanza. In molti l’hanno letta…

Qualcuno mi ha scritto e mi ha fatto piacere che il testo sia arrivato anche a persone non credenti e in ricerca.

Il terzo verbo di Bergoglio ha l’odore delle pecore: “accompagnare il popolo di Dio”.

Credo che per noi vescovi significhi starci dentro. Saper ascoltare, lasciarsi ferire anche dalla storie e dalle solitudini che incontriamo sul territorio. E saper accogliere questo dolore.

A proposito di “dentro i problemi” ritorna la critica di chi afferma che Lei parla troppo di migranti, mentre altri la vorrebbero più interventista sugli aspetti politici e legislativi.

Sul tema dei migranti ripeto quello che ho sempre detto. Per me l’accoglienza – di cui si parlerà anche nel prossimo Festival e alla Festa dei Popoli – non è un tema speciale, ma una dimensione costitutiva della vita cristiana. Fa parte del Dna del cristiano.

Sarà un ottobre “mese missionario straordinario”, voluto da Papa Francesco per una pastorale “in uscita”. Da dove partire?

Mi dico sempre che missionarietà è anche uscire da sè stessi, liberarsi da sè. Saper ospitare idee, storie, vissuti di altri. Serve una conversione personale. Anche Gesù in fondo “è uscito”, senza mai lasciare la sua terra. Non è uscito sul web, non ha girato il mondo, per trent’anni è stato misteriosamente nascosto. Eppure a distanza di secoli, continua ad essere una Parola giovane.

A proposito, resta questa la priorità pastorale?

Esatto, dopo gli itinerari per giovani e meno giovani “Passi di Vangelo” e “Sulla tua Parola” penso che dovremo impegnarci a sviluppare al massimo l’incontro comunitario con la Parola. Il mio sogno è che attraverso questo lavoro nella diocesi di Trento la Parola di Dio, proposta dell’umanità di Gesù Cristo, sia letta e frequentata notte e giorno.

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