Il viaggio apostolico in Mozambico, Madagascar e nelle isole Mauritius. Al centro delle preoccupazioni del papa i giovani, ai quali bisogna dare "un posto" nella Chiesa e nella società.
“È possibile raggiungere una pace stabile a partire dalla convinzione che la diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione”
All'insegna di un constante incoraggiamento a “andare avanti con quell’atteggiamento costruttivo che spinge a incentivare una conversione ecologica integrale”, si è svolto dal 4 all'11 settembre il 31° viaggio internazionale di Papa Francesco in Mozambico, Madagascar e alle Isole Mauritius.
"Riconciliazione" è stata la parola chiave del viaggio in Mozambico. Già al primo discorso Francesco ha chiesto il "coraggio della pace", in una terra che ha sofferto tanto nel recente passato a causa di un lungo conflitto armato, e che nella scorsa primavera è stata colpita da due cicloni che hanno causato danni molto gravi. A Maputo il Papa ha incoraggiato le autorità del Paese a lavorare insieme nella “ricerca instancabile del bene comune”, e ha incoraggiato i giovani, radunati dalle diverse appartenenze religiose, perché costruiscano il Paese, superando la rassegnazione e l’ansietà, diffondendo l’amicizia sociale e facendo tesoro delle tradizioni degli anziani. Anche la Chiesa continua ad accompagnare il processo di pace, che ha fatto un passo avanti lo scorso 1° agosto scorso con un nuovo Accordo tra le parti, anche grazie alla mediazione della Comunità di Sant’Egidio.
Davanti alle 60mila persone che lo hanno accolto con canti e danze, nonostante la pioggia, per la Messa finale nello stadio di Zimpeto, periferia nord di Maputo, Francesco ha esclamato: “Voi avete diritto alla pace”, perché nessun Paese ha un futuro con la vendetta e con l’odio. “Voi conoscete la sofferenza, il lutto e l’afflizione, ma non avete voluto che il criterio regolatore delle relazioni umane fosse la vendetta o la repressione, né che l’odio o la violenza avessero l’ultima parola”, l’omaggio del Papa alla travagliata storia del Mozambico, che oggi è un Paese di 30 milioni di abitanti tra i più poveri al mondo. Se vuol essere duratura, la pace – secondo il Papa – non può essere solo assenza di guerra, ma l’impegno instancabile e quotidiano a “riconoscere, garantire e ricostruire concretamente la dignità, speso dimenticata o ignorata, dei nostri fratelli”. È anche cura della casa comune, ha ricordato Francesco stigmatizzando la “tendenza a saccheggiare e depredare”.
Un tema ripreso nei giorni successivi nella seconda tappa del suo viaggio: “Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale”. La meravigliosa ricchezza di biodiversità vegetale e animale è particolarmente minacciata dalla deforestazione eccessiva a vantaggio di pochi, incendi, bracconaggio, taglio incontrollato di legname prezioso, ma anche contrabbando e esportazioni illegali, ha denunciato il Papa, ricordando sempre che “Non può esserci un vero approccio ecologico né una concreta azione di tutela dell’ambiente senza giustizia sociale”.
In Madagascar, dove il 70% della popolazione – perlopiù giovane – vive al di sotto della soglia di povertà, Francesco ha visitato la “Città dell’amicizia”, Akamasoa, fondata da un missionario, padre Pedro Opeka da un ex discarica alla periferia di Antananarivo e oggi popolata di 25mila persone che ora hanno un lavoro dignitoso, una casa, le scuole per i loro figli, l’ospedale. Davanti a questo miracolo terreno, animato dallo spirito del Vangelo, il Papa ha detto: “La povertà non è una fatalità”. “Quanti uomini e donne, giovani, bambini soffrono e sono totalmente privi di tutto! Questo non fa parte del piano di Dio”, il suo grido dal Campo diocesano di Soamandrakizay, mentre celebrava la Messa davanti a un milione di persone. Disuguaglianza e corruzione sono temi al centro dei discorsi alle autorità e poi ai vescovi malgasci. “Lottare con forza e determinazione contro tutte le forme endemiche di corruzione e di speculazione che accrescono la disparità sociale” l’appello di Francesco, e “introdurre tutte le mediazioni strutturali che possano assicurare una migliore distribuzione del reddito e una promozione integrale di tutti gli abitanti, in particolare dei più poveri”. Ciò significa non soltanto “assicurare a tutti il cibo, o un decoroso sostentamento”, ma “implica educazione, accesso all’assistenza sanitaria, e specialmente lavoro, perché nel lavoro libero, creativo, partecipativo e solidale, l’essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita”.
In una terra multietnica, multireligiosa e multiculturale conosciuta nel mondo per le sue attrazioni turistiche, l’omaggio scelto dai mauriziani per rendere indelebile la storica visita del Papa sono 100mila alberi, che saranno piantati aderendo all’appello di Bergoglio per una ecologia integrale. L’ultimo discorso del Papa, dai forti accenti politici, è cominciato con l'impertivo ad “accettare la sfida dell’accoglienza e della protezione dei migranti che oggi vengono qui per trovare lavoro, e, per molti di loro, migliori condizioni di vita per le loro famiglie”, come già “i vostri antenati hanno saputo accogliersi a vicenda, quali protagonisti e difensori di una vera cultura dell’incontro”. Le isole Mauritius, nelle parole del Papa, sono una dimostrazione che “è possibile raggiungere una pace stabile a partire dalla convinzione che la diversità è bella quando accetta di entrare costantemente in un processo di riconciliazione, fino a sigillare una specie di patto culturale che faccia emergere una ‘diversità riconciliata’. Questa è base e opportunità per la costruzione di una effettiva comunione all’interno della grande famiglia umana senza la necessità di emarginare, escludere o respingere”.
“I giovani sono la nostra prima missione”, l'ultima raccomandazione di Francesco, sulla scia dell’attenzione speciale riservata al “popolo” giovane – la maggioranza della popolazione – mostrata in tutte le tappe della sua trasferta in Africa. “Com’è duro constatare che, nonostante la crescita economica che il vostro Paese ha avuto negli ultimi decenni, sono i giovani a soffrire di più, sono loro a risentire maggiormente della disoccupazione che non solo provoca un futuro incerto, ma inoltre toglie ad essi la possibilità di sentirsi protagonisti della loro storia comune”. Bisogna imparare “a riconoscere e fornire ad essi un posto in seno alla nostra comunità e alla nostra società”, dice il Papa. “Non lasciamoci rubare il volto giovane della Chiesa e della società!”.
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