Il premier Conte non è più il grigio amministratore di condominio dei suoi esordi, ma un politico che si è costruito un ruolo e una certa caratura
Alla fine ce l’hanno fatta: il voto sulla piattaforma Rousseau ha approvato il governo Conte col PD, il programma è stato varato e mentre scriviamo si sta chiudendo sulla lista dei ministri. Comincia una nuova era per non dire che siamo di fronte ad una svolta? Non solo è presto per dirlo, ma questo governo è per tanti aspetti un enigma.
La coalizione mette insieme forze certamente non omogenee, ma soprattutto i Cinque Stelle hanno problemi di presenzialismo competitivo come si è visto nella conferenza stampa in cui Di Maio ha annunciato il risultato del voto sulla piattaforma: a sentirlo sembrava che fosse in arrivo un governo quasi monocolore M5S, per di più intenzionato a portare a termine una serie di lavori iniziati col precedente governo. Non esattamente la prospettiva del PD, che comunque fa buon viso a cattivo gioco, convinto che i Cinque Stelle facciano “comunicazione” (un tempo si sarebbe detto propaganda), ma che poi si opererà nel concreto e sarà un altro scenario.
E’ possibile, ma non è sicuro. Per quanto i programmi siano notoriamente una variante dei libri dei sogni, poi ci si rimane anche intrappolati. Ne sa qualcosa Salvini, che ha dovuto contro il suo interesse mandare un governo a gambe all’aria quando si è reso conto che non gli riusciva di portare a termine le promesse faraoniche che aveva lanciato. Sebbene sembri che le presenze ministeriali dei pentastellati non diano tanto spazio, almeno a livello di ministri, a personaggi bizzarri, basta la presenza di un Di Maio acciaccato e bisognoso di risalire nella gerarchia di potere per far sorgere qualche preoccupazione. E’ vero che sembra verrà confinato al ministero degli Esteri, ruolo apparentemente prestigioso, ma in realtà difficilmente gestibile da chi non ha solide competenze. Del resto la politica estera a livello di vertici è ormai appannaggio del premier, mentre a livello di “tessitura” è campo per gente che sa come ci si muove (a cominciare dalla padronanza di qualche lingua) e conosce il campo (vasto che non si impara in poco tempo).
Al momento non sembra preoccupare più di tanto la presenza di LeU che ha in mano il pugno di voti necessario a fare la maggioranza, ma non può permettersi di buttare a mare la legislatura affrontando elezioni anticipate da cui uscirebbe con le ossa rotte.
Il PD è anch’esso un’incognita. Deve respingere la leggenda che fu uno sbaglio rifiutare una alleanza coi Cinque Stelle dopo le elezioni del marzo 2018, perché allora avrebbe fatto lo stuoino di un partito che aveva stravinto nelle urne e che si sentiva padrone del mondo. Oggi, non solo sulla base dei sondaggi, ma anche degli esiti delle europee e delle amministrative, M5S e PD viaggiano pressappoco appaiati e l’esperienza del governo gialloverde ha fortemente ridimensionato i pentastellati: dunque la coalizione può realizzarsi su basi diverse. Una di queste è la conquista di una posizione personale più pesante da parte del premier Conte, che non è più il grigio amministratore di condominio dei suoi esordi, ma un politico che si è costruito un ruolo e una certa caratura approfittando anche dei contatti europei e internazionali. E questo costituisce un evidente argine ai persistenti e/o residui impeti grillini, che non a caso hanno abbandonato critiche alla UE e qualche fantasia sulla manipolabilità dell’economia e della finanza pubblica.
Tutto si giocherà subito dovendosi confrontare con due scadenze. La prima è il varo della legge di bilancio, dove si dovranno far quadrare i conti fra neutralizzazione dell’aumento dell’IVA, misure di sostegno all’economia e obbligo a non andare (troppo) in deficit. Impresa meno facile di quel che sembra, perché ogni componente della coalizione qualcosa deve portare a casa per i suoi ambienti di riferimento e toccare veramente revisione della spesa e contrasto all’evasione fiscale significa innescare una spirale di malcontento su cui Salvini e compagni sono pronti a speculare.
Poi c’è l’appuntamento con le elezioni regionali: Umbria, Calabria, Emilia Romagna fra non molto, ma l’anno prossimo un’ulteriore tornata incluso il Veneto nonché varie amministrative incluso per noi il comune di Trento. L’enigma della coalizione si estende su tutte queste urne. I Cinque Stelle saranno disponibili e capaci di continuare a quei livelli l’intesa con un PD fra l’altro non sempre in ottime condizioni a livello locale? Salvini affila le armi in vista di quelle prove e proclama a dritta e a manca che “non si libereranno di lui”.
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