Il problema delle bici elettriche è che chi le usa viene promosso oltre il suo livello di capacità. E si sente cicilista provetto
Gli spunti
Leggo con interesse il vostro servizio sulla bici elettrica. Nei giorni scorsi, a 2000 metri in val Rendena, mi ha fatto impressione vedere salire in cima gente improbabile che senza la pedalata assistita non sarebbe mai arrivata lassù. Né sarebbe scesa in maniera a dir poco pericolosa dagli stessi sentieri. Mettendo più volte in pericolo chi ancora sale affidandosi solo alle proprie forze.
Daniela Pozzoli
(commento sulla pagina FB di Vita Trentina)
Il successo delle e-bike pone il problema della convivenza “pacifica” fra ciclisti e pedoni. Per minimizzare il rischio potenziale di incidenti separare le due categorie di utenti della strada è una regola fondamentale. E allora via i pedoni dalle piste ciclabili. Troppi affollamenti. In val di Fassa nei mesi di punta le cicolopedonali saranno riservate alle due ruote.
l’Adige, 29 agosto 2019
La bici elettrica la chiamano “assistita”, tanto che sembra una badante per i pedalatori stanchi, ma è invece una grande innovazione, destinata a cambiare la mobilità in montagna (come ha documentato nel numero scorso Vita Trentina), ed anche nei centri urbani. Ma non potrà – e non dovrà – soppiantare il muoversi a piedi, quell’armonia fra corpo e mente che è il camminare. Né soppianterà la fatica (ricercata e purificata) che le salite in montagna richiedono, non solo per ragioni di sano esercizio fisico, ma per motivi psicologici che gli alpinisti ben sanno, perché la fatica dà il senso del limite e quindi fa conoscere se stessi. Lo ripete spesso il grande Kurt Diemberger, il primo a salire due Ottomila, l’amico di Hermann Buhl.
La fatica si fa anche a quote più basse, ognuno ha la sua fatica come ognuno ha il suo “sesto grado”, ma la montagna deve rivendicarla per mantenere la sua vocazione di libertà.
Il problema delle e-bike non è però “che non si fa fatica”, è che chi le usa viene promosso oltre il suo livello di capacità. Arriva a 2000 metri, appunto, credendosi vincitore, e invece è proprio lì che inizia il difficile, con incidenti anche mortali, perché arrivare in cima senza troppo soffiare non giustifica il senso di onnipotenza che molti ne ricavano. Ce lo confermava, proprio in Rendena, un meccanico che affitta decine di e-bike al giorno: “Tutti arrivano in cima, e quindi tutti si sentono ciclisti provetti. Ma bisogna anche ritornare a valle. Una bici elettrica pesa sui 20/25 chili, in discesa rischia di prendere la mano”.
Non tutti gli e-biker sanno andare in bici. Se si frena bruscamente davanti si fa un salto mortale, se si frena in curva sulla ruota di dietro si fa “derapage” ed è facile uscire di strada, se si tengono i freni tirati le ganasce si surriscaldano e non si frena più. E allora occorre fissare regole e insegnare – perché no? – come pedalare e come frenare, come curvare e come prendere le cunette. Alcuni invocano un patentino, ma tutti ne hanno ormai abbastanza di timbri e bolli.
Perché piuttosto le Apt (ed anche la Sat, perché scandalizzarsi?) non propongono corsi specifici, di stile oltre che di tecnica, visto che anche molti ciclisti “tradizionali” mostrano incertezze e trasgressioni incredibili sulle stesse ciclopedonali?. Tanta buona volontà, ma scarsa capacità: ondeggiano, scartano, non sanno neppure dove è la destra e la sinistra, quando si incrociano oscillano da una parte o dall’altra. Il campanello, che sarebbe necessario per segnalare ai camminatori chi gli piomba alle spalle è scomparso, e non certo perché pesa troppo. Nelle gallerie, al buio, mai una bici che abbia un fanalino per segnalarne la posizione.
Quanta sciatteria e incuria quando basterebbero poche regole semplici: segnalare il proprio arrivo, saper frenare, saper maneggiare il peso della bici elettrica, sapere che il pedone ha sempre la precedenza, andar per strade forestali (seimila km nel Trentino!) non per sentieri. E’ un discorso, questo tutto da riprendere, ma per ora merita soffermarsi sulle piste ciclabili, così a lungo osteggiate e che si sono invece rivelate il più grande investimento di turismo e civiltà che il Trentino abbia operato. Le piste ciclabili sono civiltà perché consentono una mobilità alternativa a quanti rifiutano le automobili ormai “auto paralizzanti” e quindi annoianti nei movimenti.
Le ciclabili invece consentono (consentivano?) il transito di pedoni, bambini e passeggini, pattini a rotelle e ski-roll, tutto ciò che non ha motore, secondo l’antica legge del mare (e della montagna) che dà al veicolo più lento la precedenza su quello più veloce. È una legge antica, antidoto alla prepotenza, ma con le e-bike “senza fatica” l’arroganza è ritornata … “pistaaa…., la strada è mia …”.
Ma le ciclabili non sono velodromi e neppure corsie di allenamento per agonisti. Ecco allora che la proposta di separare – che vuol dire escludere – i pedoni, diventa la più brutta notizia dell’estate, il fallimento di un progetto, il via libera dato alla maleducazione, la conferma dell’incapacità del Trentino di gestire se stesso e le qualità del suo territorio. Bisognerà cercare di andare a camminare altrove?
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