Sull’accoglienza nei Paesi europei parla il “numero due” dei Gesuiti nel mondo, padre Dardis: “I leader devono ritrovare i valori di base”].
[Somm2: “C’è il rischio la Chiesa sia utilizzata dallo Stato, non va bene; l’essere profetica è il compito della Chiesa e comprende sia il denunciare che il trovare direttamente la via giusta”
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Bene comune e diritti umani, impegno locale e sguardo globale, profezia e costanza. Snodi emergenti per le realtà che ruotano attorno alla Fondazione Villa Sant’Ignazio, ma anche sfide ecclesiali del nostro tempo. Le ha accolte e poi rilanciate a Trento martedì sera il gesuita padre John Dardis, “numero due” ai vertici della Compagnia di Gesù. Stile mite e appassionato insieme, ha convinto per la profondità ignaziana e l’esperienza maturata fra i profughi (vedi biografia), celebrando anche la Messa per Sant’Ignazio anticipata al 30 luglio. Dopo la visita a Casa Orlando, una delle strutture d’accoglienza trentine, l’intervista riservata al nostro settimanale.
Padre John, Lei ha seguito per anni il tema Europa e profughi dall’osservatorio speciale che è il Servizio dei gesuiti per i rifugiati: che cosa viene da chiedere ai nuovi governanti europei?
Possiamo insistere affinché i valori di base dell’Europa – come la solidarietà che viene dal sentirsi fratelli e sorelle dentro una comunità – vengano riaffermati e possano guidare il cammino di tutti i Paesi membri.
Chi arriva ai confini europei è spesso visto come un nemico…
Quando ho lavorato in Rwanda dopo il genocidio del 1995, i rifugiati erano visti come amici. Ora si preferisce invece mantenerli fuori, come se gli immigrati fossero una sfida che non si vuole affrontare. Ma questa è la strada della paura che non porta a nulla. Dobbiamo anche dirci che i rifugiati scappano dai loro Paesi perché si è rotto il sistema economico mondiale.
Papa Francesco non si stanca di ripetere che i migranti sono nostri fratelli.
Ma questa è la visione della Chiesa. La narrazione di Gesù è che tutti siamo fratelli e sorelle, ma molti leaders nel mondo oggi sono contrari a questa narrazione. Noi – pensano – abbiamo il nostro potere, dobbiamo proteggerlo e proteggerci, contro gli altri. Ma questa non è una narrazione cristiana.
Ecco, invece, noi cristiani che viviamo nelle parrocchie e nelle famiglie possiamo e dobbiamo vivere questa narrazione differente.
Lei per la festa di Sant’Ignazio a Villa, sulla collina delle Laste, invita a saper collocare le azioni locali dentro un’azione universale. Perchè?
Per dare testimonianza, per mostrare che questa narrazione di Gesù è possibile viverla anche per noi. Molti leader ritengono che non sia possibile accogliere tutte queste persone e praticare la solidarietà. Invece noi come comunità cristiane possiamo far vedere invece che è possibile vivere la solidarietà. Possiamo farlo e così mostrarlo e dire ai leaders: anche voi dovete svolgere una leadership diversa, che non semina divisione ma che crea invece solidarietà. Affinchè tutti viviamo come fratelli e sorelle.
Che idea si è fatto del tessuto comunitario trentino?
Ho visto molte persone che anche qui stanno lavorando, anche in situazioni sfidanti. Non con gandi progetti, ma con piccoli progetti che mostrano che un altro modo di vivere è possibile.
Ci si trova a fare i conti con scelte politiche ispirate al criterio “prima gli italiani” che ha tagliato molte risorse per aiutare gli immigrati.
Io ricorderei a chi compie queste scelte che i valori degli italiani sono sempre stati accoglienza, ospitalità e solidarietà. Non possiamo venir meno a questi valori se vogliamo creare una società coesa.
Purtroppo sia in Inghilterra che in Italia la narrazione politica sembra non capire che dobbiamo convivere, senza fare preferenze. Certo, ognuno ha la sua cultura e deve esserne orgoglioso, ma non deve viverla come motivo di separazione dagli altri.
Talvolta, nello spirito del Buon Samaratino. la Chiesa si trova a fare azione di supplenza rispetto all’ ente pubblico. E’ sempre giusto…?
C’è il rischio la Chiesa sia utilizzata dallo Stato e questo non va bene; l’essere profetica è il compito della Chiesa e comprende sia il denunciare che il trovare direttamente la via giusta. Denunciare senza provare nulla non è corretto. Dobbiamo segnalare limiti, mostrare ingiustizie e creare sensibilità ma anche operare direttamente e far vedere le strade giuste. Non ci è possibile dare soluzione a tutti i problemi, ma è importante far intravvedere le vie per accogliere i rifugiati e le persone in difficoltà.
E la spiritualità, nella prospettiva ignaziana, che rapporto ha con il “fare”?
L’aspetto-chiave è la visione teologica: noi crediamo in un Dio che ama gli uomini, non che tiene le distanze. Anzi, ogni giorno egli agisce nel mondo. Se Dio opera così, noi sappiamo di dover essere suoi collaboratori, quindi anche nell’amare i poveri, nello star vicino a chi non ha niente. Questo è il nostro compito.
E’ vero che Papa Francesco deve obbedire al vostro Padre generale, essendo un gesuita…
Ma no, non è vero (ride, accogliendo la battuta scherzosa, ndr), è assolutamente libero. E’ vero che lui si è formato con una spiritualità ignaziana, ma ora è molto profonda, peronale. Per noi gesuiti, come per tutti, lui ora è una guida.
Arrivano anche critiche a Bergoglio, anche interne alla Chiesa…
Direi che la sfida per la Chiesa e per tutti noi cristiani è lasciare spazio allo Spirito. Questa disponibilità talvolta ci fa anche paura a tutti ni. Perchè lo Spirito entra, disturba, cambia le cose, anche nelle nostre vite personali.
Lasciare spazio non è facile, vorremmo avere tutte le domande, le risposte tute in ordine. Ma questa Chiesa non esiste. Il mondo sta sta cambiamento e noi dobbiamo ascoltare i gridi del mondo e i soffi dello Spirito.
Francesco sa la difficoltà e l’importanza di questo ma è tranquillo, nella fiducia che lo Spirito Santo sta lavorando. Anche noi dobbiamo lasciargli spazio.
Cosa ricorderà della Trento del Concilio, di Chiara Lubich, della città ponte, di frontiera..
Città di accoglienza, direi.
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