Se potesse gettare uno sguardo sull’Unione europea di oggi, Alcide De Gasperi non ne trarrebbe una grande, bella impressione. Nel 65esimo anniversario dalla sua scomparsa, in queste mese a lui dedicato dalla Fondazione trentina, il grande europeista e padre fondatore dell’Unione non troverebbe traccia di un sincero spirito di solidarietà fra gli stati membri, sentimento che era stato alla base del grande disegno di pacificazione all’inizio degli anni ’50. Un sentimento che, dopo la seconda guerra mondiale, aveva permesso di mettere assieme vincitori (Francia e Benelux) e vinti (Germania e Italia) nella stessa nascente Comunità. Solidarietà che in questi ultimi anni non si respira più, né sul terreno della convergenza economica, dove ottuse regole non permettono di diversificare le politiche fiscali dei paesi in difficoltà, né tantomeno nel campo dell’immigrazione per la quale vige il concetto del “ciascuno si arrangi”, obbligando i paesi del sud a schizofreniche politiche di respingimento, più o meno ciniche a seconda degli orientamenti politici delle forze al governo. In questo modo, inoltre, si corre il rischio di negare anche quell’insieme di principi su cui si doveva fondare il processo di integrazione europea: il rispetto dei diritti umani (anche degli altri), il consolidamento della democrazia e le grandi libertà personali, vero DNA di un’Europa (al tempo, quella occidentale) uscita da uno spaventoso conflitto e dai genocidi razziali. Oggi, dopo avere vinto la guerra fredda e abbattuto il muro di Berlino, questi valori cominciano ad essere insidiati dalla rinascita del nazionalismo, della xenofobia e dell’intolleranza. Sentire parlare il premier ungherese, Viktor Orbàn, di “democrazia illiberale” (un ossimoro) per difendere la cristianità dall’assalto islamico fa rabbrividire; anche perché questa sua affermazione non rimane isolata all’interno dei confini di quel paese, ma trova simpatie fra i nazionalisti austriaci e bavaresi e perfino nella Lega di Matteo Salvini e nella destra estrema della francese Marie Le Pen. In realtà la grande solidarietà del dopoguerra ebbe vita molto breve. Alcide De Gasperi, ispirato da un altro dei grandi padri europei, Altiero Spinelli, aveva sposato il progetto di dare vita alla Comunità Europea di Difesa (CED). Non perché egli fosse un guerrafondaio, ma esattamente per l’opposto: mettere assieme in un grande esercito europeo unitario francesi e tedeschi, italiani e olandesi, poteva evitare rischi di nuove guerre in Europa. Non solo: un esercito europeo necessitava di un’autorità politica che lo guidasse e il Trattato CED prevedeva infatti la costituzione di un’assemblea ad hoc per redigere un nuovo trattato politico. Insomma un vero e proprio tentativo di creare quelli che venivano all’epoca chiamati Stati Uniti d’Europa, una federazione. De Gasperi aveva gettato tutto il proprio peso politico in favore di questa prospettiva, temendo che non potesse concretizzarsi. Ed in effetti un paio di settimane dopo la sua morte, avvenuta il 19 agosto del 1954, l’Assemblea nazionale francese rifiutò di discutere e approvare il Trattato CED (30 agosto). E’ stato questo il primo segnale di una solidarietà piuttosto precaria fra gli stati membri, troppo legata agli insopprimibili interessi nazionali. Oggi più che mai, di fronte ad una Brexit dai caratteri sempre più ostili nei confronti dell’UE, dopo l’arrivo al potere a Londra di Boris Johnson, o alla crescita dei partiti nazionalisti e di destra nel nuovo Parlamento europeo, le speranze di un’Unione sempre più stretta, come si sognava ai tempi di De Gasperi, sembrano sul punto di scomparire del tutto. Quello che giustamente viene considerato come il progetto più rivoluzionario nella storia dell’umanità, di un’unione pacifica fra gli stati, è messo oggi in grave pericolo. Perché ciò non avvenga sarebbe necessario che un gruppo di paesi fra i 27 dell’attuale UE decidesse di riprendere in mano l’intero disegno di integrazione facendogli fare un radicale passo in avanti: già circolano nell’Unione progetti più o meno ambiziosi in questa direzione. Ma c’è da chiedersi dove si collocherebbe l’Italia in una tale eventualità. Perché, vale la pena ricordarlo, anche questa era stata una delle intuizioni e volontà di quel grande (e ultimo?) statista che risponde al nome di De Gasperi. Rendere l’Italia protagonista della grande avventura europea e trasformarla in un partner credibile e indispensabile. Oggi, ed è questo il punto più dolente nel confronto con il periodo degasperiano, l’Italia sembra non avere più quella volontà pionieristica. Mai come in questo periodo il Paese è stato tanto isolato nell’Unione. Non veniamo considerati né credibili né necessari. Ci limitiamo, da parte delle forze politiche di governo, a minacciare sfracelli con Bruxelles o a battere i pugni sul tavolo. Tutti questi lunghi anni di nostra partecipazione alle vicende europee sembrano non averci insegnato nulla. E’ solo attraverso le alleanze con altri partner chiave, a cominciare da Francia e Germania, che possiamo sperare di salvaguardare i nostri interessi, in gran parte giusti ma che possono trovare soluzione solo all’interno dell’UE. I pessimi rapporti bilaterali con Parigi e la freddezza nei confronti di Berlino non rappresentano una politica intelligente. Da soli conteremo sempre meno. Occorrerebbe da parte della classe politica un buon ripasso della prudenza e della lungimiranza delle scelte degasperiane, di gran lunga più difficili di quelle di oggi per un paese uscito sconfitto dalla guerra.
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