La testimonianza dei Salesiani che non hanno lasciato il Paese durante il conflitto
A che punto è la Siria? Come sta la Siria, intendiamo come tessuto sociale e comune sentire della sua gente? Tutto fa apparire che la situazione sia normalizzata e il fatto stesso che se ne parli e se ne scriva meno può esser visto come un fattore positivo, dopo la guerra durata più di 8 lunghissimi anni. E invece non è così. Perché proprio adesso –in queste settimane- è come si stesse depositando il lascito amarissimo del conflitto, un panorama di macerie infinito, macerie fisiche di case e palazzi sventrati e macerie esistenziali di vite che faticano a ritrovarsi e ricominciare. Continuano, anzi, ad essere spezzate e soppresse. A sentire coloro che sono sul posto da tanti anni, alcuni salesiani che non hanno mai abbandonato la Siria neppure nei giorni più terribili, la situazione appare più frammentata e in evoluzione.
Secondo don Felice Càntele, salesiano vicentino di Breganze, una vita in Medio Oriente e a Damasco da dieci anni, l’evoluzione sta avendo un andamento positivo pur in mezzo a tante difficoltà. A Damasco vengono rimossi gradualmente i posti di blocco e di ispezione dei militari, osserva. Ad Aleppo, città martoriata da un lungo assedio durato dal 2012 al 2016 qualche migliaio di profughi sono rientrati. Ad Homs, città situata al centro della Siria, i quartieri cristiani hanno cominciato a risorgere lentamente. Nelle province orientali, Raqqa e Der Ezzor, si stanno ripopolando sia pure col contagocce. “In genere –fa sapere don Felice- i musulmani non sunniti devono dimostrare di avere le carte personali pulite e di non avere abitato in quartieri che si erano dimostrati ribelli e indicare i motivi per cui sono usciti dalla Siria”.
Qua e là riemerge la guerra delle vendette e delle sparizioni. Assad usa il pretesto di eliminare le ultime sacche di resistenza dell’Isis e degli estremisti islamisti per fare piazza pulita di ogni tipo di resistenza democratica moderata. E c’è un secondo vincitore indiscusso nello scenario siriano, ed è la Russia di Putin.
A Damasco, in centro città, la vita è sempre continuata indifferente, come se gli echi della devastazione non vi arrivassero. Alla Ghuta, periferia est, alla Duma, distrutte, tralicci e cemento ovunque, le facciate di quel che è rimasto in piedi crivellate di proiettili. Nei quartieri vi sono persone vestite di stracci, ad ogni angolo tanti check point dove si è controllati e succede che bisogna pagare i poliziotti corrotti perché ti lascino passare anche se tutto è in regola. Putin campeggia nelle gigantografie poste nelle piazze e nei crocevia delle principali arterie stradali. Stride, poi, vedere le foto di Assad accanto a quelle di Papa Francesco, una manipolazione indegna, che però serve al regime per dimostrare pace e dialogo che non ci sono, se si pensa che tanti cristiani sono fuggiti perché perseguitati. Che poi anche tra i cristiani ci sono state e ci sono mille sfumature, ci sono cristiani perseguitati e cristiani che hanno goduto e godono tuttora di protezione e di privilegi. Ad esempio, è vivo il ricordo di padre Dall’Olio, però questo bravo e coraggioso gesuita aveva molti nemici perché diceva cose scomode.
Cosa avverrà ora? Che fine hanno fatto tanti oppositori, almeno quelli che non sono morti in questi lunghi anni? In parte si sono rifugiati in Libano e in Turchia. Ancora oggi molti ragazzi disertano. Sono in atto veri e propri rastrellamenti nei quartieri “sospettati”, non solo a Damasco, ma ad Aleppo, Homs, nelle città minori e nei villaggi. Le donne siriane, coraggiose al limite del possibile, sanno ricavare il meglio anche nelle situazioni peggiori; quando sembra non vi sia più speranza coltivano l’ottimismo della volontà nonostante tutto, come nel caso di una giovane donna che era stata imprigionata e trattata molto male e tuttavia “i suoi occhi erano luminosi”. Aveva i capelli diventati bianchi, “regalo” della prigionia, ma gli occhi sorridevano come a ribadire che la tristezza e gl’inganni in lei non sono prevalsi.
Padre Pier Jabloyan, anche lui salesiano, dice di una Siria “prostrata”. “Nelle case sta tornando l’acqua e l’elettricità arriva per tre, sei ore al giorno”. Sulle colline di Kafroun, al confine con il Libano, anche padre Luciano Buratti, veneto, da oltre cinquant’anni in Medio Oriente, che la Siria la conosce bene, ha accolto gli sfollati. Ha organizzato un campo estivo con ragazzi di ogni provenienza, che nella loro giovane vita hanno sentito solo il rumore delle bombe e i colpi di artiglieria, e che nel gioco e nella ritrovata allegria giovanile hanno riscoperto il sorriso e un po’ di serenità. A tal punto che i genitori “volevano andarsene e abbandonare Aleppo, ma quando hanno visto i loro figli contenti ed allegri hanno deciso di rimanere”. Anche così si mettono le basi –faticosamente, ma senza abbandonare la speranza – della nuova Siria.
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