L’11 luglio a Srebrenica sono stati tumulati i resti di 33 persone tra le centinaia di cui si cercano ancora le tracce nelle fosse comuni
L’11 luglio scorso al Memoriale di Potočari vicino a Srebrenica sono stati tumulati i resti di 33 persone degli 8.372 di cui dal 1995 si cercano le tracce nelle fosse comuni. La vittima più anziana tra queste 33 è Saha Cvrk, uccisa all’età di 82 anni; la più giovane è Osman Cvrk, “nato nel 1979 e che quindi quel luglio del 1995, in cui venne perpetrato ciò che è stato decretato dalla giustizia internazionale essere stato genocidio, aveva 16 anni”, ricorda Nicole Corritore in un articolo pubblicato dall’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, che riporta anche nome e cognome di tutte le 33 persone i cui resti sono stati tumulati in questa occasione.
Commemorando il genocidio, Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Ue, e il commissario Johannes Hahn ricordano “le vittime e tutti coloro le cui vite sono state colpite da quegli eventi tragici”. Dall’11 al 16 luglio 1995 furono uccisi oltre 8 mila musulmani dalle milizie dell’armata serbo-bosniaca guidate dal generale Ratko Mladić, “uno dei momenti più oscuri dell’umanità, nella storia europea moderna”, hanno detto Mogherini e Hahn. Oltre al “dovere di ricordare sempre”, “abbiamo la responsabilità di ancorare fermamente la pace e assicurare un futuro stabile per tutti gli abitanti della Bosnia ed Erzegovina e della regione”. I due leader europei chiedono di “porre fine all’impunità e superare i retaggi del passato”, senza alcuna “retorica incendiaria, negazionismo, revisionismo o glorificazione dei criminali di guerra”. Perché la Bosnia-Erzegovina possa diventare membro dell’Ue, è indispensabile che “tutti i leader politici del Paese lavorino attivamente alla promozione del dialogo e del rispetto” per la creazione “di una società in cui prevalgono il pluralismo, la giustizia e la dignità umana”.
Alla funzione c’erano anche le donne e gli uomini che dall’8 luglio hanno dato vita alla 15a edizione della Marcia della Pace, che si tiene ogni anno nell’anniversario del genocidio, lungo il percorso da Nezuk al Memoriale. Circa cento chilometri percorsi a ritroso ripetendo il cammino forzato di migliaia di cittadini che tentarono la fuga dall’enclave di Srebrenica, tra le montagne, in direzione di Tuzla e della zona cosiddetta “libera”, fino al villaggio di Nezuk.
Scrive Nicole Corritore: “L’11 luglio del 1995 le truppe serbo-bosniache di Ratko Mladić (il quale è stato condannato in primo grado dal Tribunale penale internazionale all’ergastolo, per genocidio e crimini contro l’umanità, nel novembre 2017) entrarono a Srebrenica, cittadina decretata ‘Area protetta’ dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU tra aprile e maggio 1993 con le Risoluzioni 819 e 824 e posta sotto protezione dei Caschi blu, dove si erano assembrati migliaia di bosniaci musulmani fuggiti dai villaggi della zona. Quel giorno a migliaia, terrorizzati dopo l’ingresso in città delle truppe, avevano cercato rifugio nella base dei caschi blu di Potočari a pochi chilometri da Srebrenica”. Ma le truppe olandesi consegnarono i civili ai soldati. “Vennero deportate, uccise e occultate in fosse comuni – continua Corritore – più di 8 mila persone, tutti bosgnacchi (bosniaci musulmani). Centinaia di civili, tra bambini, donne e vecchi, vennero sfollati con la violenza, altri tentarono la fuga percorrendo quella che fu per molti una marcia della morte. La ricerca dei resti degli scomparsi è stata lunga e difficile, e prosegue dopo 24 anni. Oltre ad occultare i cadaveri nelle fosse comuni, i responsabili tentarono di cancellare le prove, redistribuendo i resti in più fosse comuni, più piccole, distribuite sul territorio. Fosse comuni di cui si è dovuto trovare traccia attraverso testimonianze dei superstiti e documenti raccolti lungo le decine di processi per crimini di guerra che si sono succeduti, al Tribunale per crimini di guerra dell’Aja come, in seguito, nelle decine svoltesi presso le Corti speciali della regione”.
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