(A 96 anni il medico radiologo Bernardi, artista della fotografia, sempre attento al valore di ogni persona)
“Se c’è una cosa che oggi non posso soffrire sono i selfie. Trovo orrenda questa mania di fotografare se stessi… E’ un banalizzare il valore della fotografia, che dovrebbe sempre avere un messaggio forte, secondo me…. Che messaggio è quello di autofotografarsi, magari davanti al piatto che si sta mangiando…?”
C’è tanta saggia ironia, non la lamentela dell’anziano, nella chiacchierata con Giuseppe Bernardi, per tutti a Trento “Gios”, classe 1920, radiologo del Santa Chiara, amico di don Mario Bebber e del prof. Alessio Pezcoller, artista della fotografia “sociale”. Altro che 96 anni, con la brillantezza di un settantacinquenne spigliato, ancora attivo e dedito alla moglie inferma, il dottor Gios ripercorre con Vita Trentina un inedito capitolo appena chiuso della sua vita, pronto ad aprirne altri.
Pochi sanno che lei, dottor Bernardi, è stato per quasi 40 anni, fra gli esperti del Curatorium del Museo Diocesano Tridentino (vedi foto sotto), ne avete accompagnato lo sviluppo. In quale prospettiva?
“Quest’organismo dal nome antico era stato voluto da mons. Iginio Rogger come una sorta di consiglio d’amministrazione del Museo. C’era per anni la presenza autorevole dello storico di Bressanone Wolksgruber e il contributo competente di don Paolo Holzhauser. Ci aveva chiamato Rogger – che mi aveva conosciuto nei primi anni Settanta quand’ero assessore comunale a cultura, scuola e sport – che con la sua personalità autorevole e autoreferenziale ci aveva chiesto di supportarlo nelle sue indovinate e importanti iniziative. Trento gli deve molto. Certo, allora il ruolo del Museo era soprattutto conservativo, anche per valorizzare i recenti studi sul Duomo e un patrimonio allora sconosciuto”.
La interrompo, perché in quegli anni lei interloquì con Guido Lorenzi, per tre legislature assessore alla cultura in Provincia, che ci ha lasciato la settimana scorsa. Come lo ricorda? “Eravamo amici, c’era stima reciproca. Aveva una visione molto ampia, era una personalità forte, onesta, ineccepibile, rispettosa di tutti, un tipico democristiano, non certo un carattere sanguigno come quello di Rogger…”
Torniamo al Museo, che Rogger affidò gradualmente alla sua vicedirettrice: “Sì, Domenica Primerano è una persona molto competente e altrettanto appassionata. Pur mantenendo uno stile di continuità ha saputo dare un’impronta nuova più aperta, cosmopolita, aggiornata. Il Museo come un ambiente vivo, in grado di relazionarsi con la scuola, con le altre realtà educative e culturali. Quanto abbia lavorato bene lo dimostra il fatto che è stata chiamata a presiedere i Musei Ecclesiastici Italiani, cosa non facile per una donna”.
Nel salotto di casa Bernardi, affacciato su piazza Venezia, Gios spazia ora dai quadri del padre Carlo Bernardi (1892-1998), pittore esiliato dal fascismo, ai suoi tanti libri di fotografia. “Fin da ragazzo ero stato affascinato dall’arte delle prime fotografie in bianconero e ho coltivato quest’hobby nel tempo libero. Non ho mai amato i paesaggi, ma ho voluto cercare sempre l’uomo, la persona”. Ne sono testimonianza i veri e propri reportage realizzati durante le vacanze estive in Sicilia e Calabria nei luoghi di partenza dell’emigrazione italiana e poi anche dentro le baracche degli emigrati in Germania e Svizzera. Un lavoro nato per il libro “Gente che va…” pensato insieme al poeta don Mario Bebber (“eravamo molto amici”) e ripreso in una mostra recente a Palazzo Roccabruna a Trento. “Mi hanno commosso questi commenti di molti emigrati meridionali nella mostra allestita qualche mese fa a Taormina – ci mostra il libro dei visitatori con tante firme anche straniere – a conferma di quanto la migrazione sia un’esperienza universale. Sognerei di fare un’altra mostra con altre foto su questo tema – accenna Bernardi, 96 anni proiettati in avanti, che poi aggiunge pungente “ma i nostri governanti di oggi non amano indagare questo tema”.
Rivedendo l’albero genealogico, tornao alcuni tratti – l’impegno sociale, la sensibilità culturale, la cura per la persona e il genio artistico – che hanno segnato i dieci zii di Bernardi, fra i quali il romanziere Gaetano, che scrisse anche su Vita Trentina con lo pseudonimo Rusticus e quel don Eugenio Bernardi, padre spirituale del Seminario e morto in fama di santità: “Mi spiace che la causa di beatificazione si sia fermata – osserva Gios – per me resterà lo zio molto ispirato, ma anche molto caritatevole”.
Ma non abbiamo parlato dell’attività professionale, la prima vita del dott. Bernardi, storico radiologo dell’ospedale Santa Chiara. “Anche se la mia specializzazione era apparentemente tecnica, ho cercato di guardare al malato come ad una persona. Da presidente dell’Ordine dei Medici spero di aver contribuito a far crescere questa consapevolezza della relazione umana. Mi ricordo che negli anni Settanta avevo cercato di portare a Trento, assieme al prof. Pavesi, l’attenzione agli aspetti etici promossa dai gruppi Balint. Non dimentico peraltro che alla fine di un convegno di tre giorni – ironizza – ci ritrovammo in pochi perché tanti erano andati a sciare”.
Quella semina deontologica ha dato qualche buon frutto (si pensi ai Comitati etici), ma non è mai finita, così come l’impulso della Fondazione Pezcoller di cui Bernardi, collega apprezzato dall’indimenticabile Alessio Pezcoller, è stato sostenitore riconosciuto nel 2012 anche dall’Associazione americana per la Ricerca sul Cancro. “Mi hanno invitato a parlare al Palazzo dei Congressi di Chicago, sul palco dove un giorno parlò anche Obama – scherza ancora Gios – ma per me la gioia è vedere che il Premio trentino, anche grazie all’appoggio dell’oncologo Umberto Veronesi e a ben cinque Premi Nobel fra i nostri premiati, è molto accreditato ormai in tutto il mondo. E sono contento di averlo agli inizi orientato sulla ricerca oncologica di base, che si sta rivelando la frontiera più importante”.
La conversazione si chiude riportandoci in avanti e in famiglia. Da qualche anno il dottor Bernardi, assieme agli amati figli Anna, Paola e Marco, assiste quotidianamente la moglie Franca Rigoni, ora ospite della Rsa di via Veneto. “La vedo più serena – osserva – la vado a trovare ogni giorno, il prossimo anno faremo 70 ani di matrimonio”. Auguri, Gios, anche per questo.
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