Venti di guerra intorno allo Stretto di Hormuz, quei 30 km di mare che separano l’Iran ad est e gli Emirati Arabi e l’Oman ad Ovest. In quest’ultimo mese ben sei petroliere di varia nazionalità sono state colpite da missili o da mine piazzate da qualche misterioso provocatore. Il risultato, come è naturale, è stato sia di assistere all’aumento del prezzo del greggio che di portare alle stelle la tensione che da più di un anno circonda l’area del Golfo.
Non si tratta, in effetti, solo di petroliere danneggiate nel loro percorso verso l’Europa, ma di una più ampia situazione conflittuale scatenata dal presidente americano Donald Trump nel maggio del 2018, allorquando l’amministrazione americana si è ritirata unilateralmente dal grande accordo sul controllo del nucleare con l’Iran. Vale la pena ricordare che solo due anni prima, il 1° gennaio del 2016, Teheran sottoscriveva con l’Unione europea, la Cina, la Russia e gli Usa di Barack Obama lo storico accordo sulla limitazione della propria produzione nucleare sotto la soglia critica che permette alle centrali nucleari di produrre uranio arricchito per dotarsi della bomba atomica. Il tutto con l’egida della Nazioni Unite e il controllo dell’Agenzia Atomica di Vienna. Si disinnescava così il rischio di avviare una corsa all’arma atomica nel Medio Oriente. Ma con Trump l’aria è cambiata, dato che il nuovo presidente americano non reputava sufficiente l’accordo faticosamente raggiunto dal suo predecessore. Oltre, quindi, a cancellarlo dall’agenda americana, Trump pensava bene di esercitare enormi pressioni sull’Iran attraverso nuove e radicali sanzioni economiche per convincere il governo degli ayatollah a firmare un diverso trattato.
Il guaio è che le sanzioni americane hanno un valore extra-territoriale e si estendono anche alle imprese e alle banche europee che, dopo l’accordo del 2016, avevano cominciato ad investire in Iran. In parole semplici, coloro che fanno affari con l’Iran non potranno più operare negli Stati Uniti o con imprese americane e per di più subiranno anch’esse ritorsioni e sanzioni di vario tipo. L’UE ha cercato quindi disperatamente di aggirare questo divieto, creando un complicato meccanismo che protegga le imprese e banche europee dai fulmini di Washington. Ma fino ad oggi questo strumento non è stato messo in funzione, anche perché la Gran Bretagna, che con Germania e Francia ha fatto parte del gruppo dei negoziatori, è sulle posizioni degli americani, attribuendo agli iraniani la responsabilità degli attacchi alle petroliere. Alla fine a rimetterci è l’UE stretta in una morsa micidiale fra aumenti del prezzo del petrolio e rischio di assistere all’uscita definitiva dell’Iran dall’accordo sul nucleare. In effetti Teheran ha minacciato di superare la famosa linea rossa per la produzione di uranio arricchito entro una decina di giorni, se l’UE non troverà il modo di aggirare le sanzioni americane e continuare a sostenere finanziariamente ed economicamente l’Iran, che ormai soffre enormemente della stretta Usa. Ma più in generale a rischiare davvero è l’intero Medio Oriente che potrebbe esplodere in una guerra di ampie dimensioni.
Già i focolai nello Yemen ed in Siria dovrebbero allarmarci e spiegarci l’importanza della partita in gioco. Stiamo infatti assistendo ad una battaglia senza esclusione di colpi fra mondo Sciita, rappresentato dall’Iran, e il più largo fronte Sunnita guidato dall’Arabia Saudita. Una situazione che a noi europei ricorda molto da vicino le guerre di religione degli inizi del ‘600 fra cattolici e protestanti, durate per ben trent’anni. Giocare con il fuoco nell’attuale situazione mediorientale è da irresponsabili e l’UE dovrebbe avere la volontà e l’unità tale da bloccare la deriva in cui ci ha condotto Trump, salvando a tutti i costi l’accordo con Teheran per allentare la tensione e procedere con determinazione verso una generale pacificazione di una regione a noi vicina. Questa, dovrebbe essere chiaro a tutti, è una responsabilità primaria per l’Europa e non solo degli Usa. Sarebbe quindi necessario agire allo stesso tempo e con forza sia verso Teheran che Washington.
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