La sera, nell’”orto libero” all’ombra del campanile di Santo Stefano, con una limonata in mano, circondati dalle piantine di mais, cipolle, pomodori e dai più esotici arachidi e ocra (simile alla zucchina), si respira serenità. Dauda dissoda una parte di terreno ancora non lavorato, mentre Mamadou verifica che l’impianto a goccia stia facendo il suo lavoro. Don Augusto Pagan, parroco di Mori, passa per un saluto, mentre Roberta e Daniela apparecchiano il tavolo in legno per la cena. Tra poco tutti siederanno sulle panche per mangiare assieme un’insalata appena raccolta o una pasta con il pomodoro fresco.Da tre anni, seguendo i turni scritti su una graziosa lavagnetta, i richiedenti asilo e i volontari del paese si occupano dell’orto vicino alla canonica. Cinquecento metri di terreno fertile che una volta veniva parzialmente coltivato dai parrocchiani, ma che dal 2016 don Augusto ha messo a disposizione del progetto PassapOrto avviato dal Coordinamento attività accoglienza migranti Mori (Caam). “Volevo che questo fazzoletto di terra diventasse un luogo di incontro e conoscenza reciproca”, spiega il parroco, “che i moriani vedessero i migranti con altri occhi, non solo mentre hanno il cellulare il mano e poco altro da fare”.Un’altra prospettiva per allargare gli orizzonti, una “realtà di relazione”, come la definisce il volontario Pierino Martinelli, “per rendere visibili questi ragazzi sotto il campanile, nel cuore della borgata”. Il nome stesso del progetto, PassapOrto appunto, trasmette il desiderio di superare i confini e le frontiere, fisiche e psicologiche.Nel corso dei tre anni, una ventina di richiedenti asilo ha zappato e vangato la terra vicino alla chiesa. Ognuno è libero di dare il suo tocco personale, mettendo a dimora vegetali di suo gradimento. Ecco che allora accanto ai tradizionali fagioli, sono state piantate le arachidi; vicino alle patate, l’ocra; accanto ai pomodori, il mais. I ragazzi nigeriani, gambiani, maliani e libici lavorano spalla contro spalla: si parla in un misto di bambara e italiano, “ma la lingua non è un ostacolo, fare le cose è più facile che raccontarsele”, testimonia Roberta Perini.Per chi trascorre i mesi in attesa del responso sulla richiesta di asilo, le serate all’orto sono un diversivo importante. Anche coloro che, nel tempo, sono usciti dal progetto di accoglienza della Provincia, continuano a frequentare il campo parrocchiale. “Qui ho conosciuto molti amici – racconta Dauda, 24 anni, dal Mali – la gente passa e ci saluta, ci dice che siamo bravi”.A Mori, negli anni, sono stati accolti 43 richiedenti asilo, negli appartamenti in centro paese e a Valle San Felice. In media, sono una ventina quelli che occupano i sei alloggi messi a disposizione dal Comune. “Non è semplice trovare i volontari italiani per questo progetto; ci piacerebbe aprire ancora di più alla comunità”, ammette l’educatore Marco Cimonetti.Eppure il PassapOrto non perde occasione per farsi conoscere dai moriani. Il 19 maggio scorso, durante la festa della comunità all’oratorio, i partecipanti hanno potuto visitare l’appezzamento e comprare piantine per finanziare il progetto. Tra pochi giorni, i ragazzi delle medie del Grest verranno qui a fare attività orticola.
“Tra chi ha frequentato questo spazio negli anni, alcuni non sapevano nemmeno chi fosse il parroco. Anche loro hanno trovato una testimonianza di apertura, un segno di relazione. Quando ci si impegna per qualcosa di concreto, le categorie passano in secondo piano”, assicurano i volontari.
Anche perché i progetti ambiziosi non mancano. Entro la fine dell’estate, gli ortolani vogliono ottenere dieci chili di menta da distillare in essenza e poi trasformare in saponette assieme a un laboratorio sociale. Le verdure, invece, verranno regalate ai campeggi parrocchiali e utilizzate per le gioiose cene sotto il campanile.
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