Uno studio approfondito rivela la grande eredità lasciata dal gesuita noneso in terra di Pimeria, oggi Arizona e Nuovo Messico
Che i Trentini emigrati in ogni parte del mondo si siano fatti conoscere per serietà e tenacia nel lavoro è noto da tempo. Che un nostro conterraneo, il gesuita noneso Eusebio Francesco Chini, noto come padre Kino, sia addirittura raffigurato tra i Padri della Nazione al Capitol di Washington, riempie di orgoglio anche perché la sua figura ci è ormai divenuta familiare per via degli studi compiuti dall'Associazione che porta il suo nome (ed è presieduta dal pronipote Alberto) e dai testi pubblicati dal giornalista Mauro Neri (ultimo in ordine di tempo il libro “Kino, l'Apostolo senza tempo dei migrantes messicani vittime del Muro” Editrice Ancora 2017).
Che poi padre Kino abbia “forgiato una nuova cultura economica e gastronomica in una zona dove prima di lui i Nativi erano poveri nomadi del deserto” è affermazione nuova che vale la pena di indagare a fondo, proprio come ha fatto Elisabetta Giacon nel suo ultimo libro dal titolo “La cioccolata dei missionari”. Nata a Bolzano da padre veneto e mamma (di cognome Arlanch) della Vallarsa, studi in Francia, Inghilterra e Austria, un lavoro alle Nazioni Unite per poi insegnare Studi sociali americani nel Maryland e collaborare con lo Smithsonian Institution and Museum di Washington DC (anche socia dell'ATA, l'American Translators Association), Giacon ha fatto tappa a Trento la settimana scorsa per farci conoscere il libro, fresco di stampa per le edizioni Osiride di Rovereto.
«Ho scoperto padre Kino più di 10 anni fa quando mi trovavo nel Wisconsin con i 3 figli e mio marito, allora ispettore nucleare e io insegnavo Social studies. Siamo capitati in un Festival Italiano con tutte le solite cose – spaghetti al sugo, chitarre – e una serie di figure di personaggi italiani: tra Colombo e altri ho trovato padre Kino, Trento. Immaginatevi il mio stupore, dal momento che la mia mamma era anche lei di qua. Siamo venuti a Segno e da lì è nata la mia ricerca su di lui». Appassionata di gastronomia, Giacon ha seguito idealmente l’itinerario del gesuita approdato nella terra che allora gli spagnoli chiamavano Pimeria, oggi Arizona e Nuovo Messico, giungendo alla conclusione di quanto sia grande l’eredità lasciata dal religioso in quella popolazione: su tutto la volontà di lavorare “insieme” quasi uno spirito cooperativo prima del tempo, ma rimasto finora inedito, senza dimenticare l’allevamento del bestiame e la costruzione di fattorie, alla maniera trentina.
Il testo, ampiamente illustrato, è corredato da una serie di cartine geografiche e fotografie, scattate direttamente dall'autrice, che mostrano il trasferimento transoceanico di ingredienti, che dal XV e XVI secolo hanno letteralmente cambiato la gastronomia europea e americana.
E' una sorta di diario di viaggio, “un dialogo vivo che si sviluppa con imprevedibile immediatezza” scrive Carlo Andrea Postinger nella presentazione.
Mortificato dall'avere trovato meno oro di quanto ci si aspettasse, Cristoforo Colombo sottovalutò l'importanza delle fave di cacao: al contrario Hernàn Cortés, che aveva visto l'imperatore Montezuma distribuire ai suoi nobili duemila tazze di cioccolata, una volta conquistata la capitale azteca, aveva fatto piantare alberi di cacao, avendone compreso la potenzialità commerciale.
La bevanda al cacao, originariamente chiamata “kakawa”, considerata dai Maya “cibo degli dei” (e l'albero di cacao, un prezioso regalo del dio Quezocoatl) fin dai tempi antichi aveva simboleggiato la medicina o il sacro: frullati di cacao, racconta Giacon, misti ad acqua e/o sangue, con l'aggiunta di miele o polvere di peperoncino o essenze di fiori o spezie tropicali (come il bacello di vaniglia) erano bevande abituali dei benestanti, assai frequenti nel corso di cerimonie religiose o feste nuziali. E le chicchere dorate, utilizzate per servirle, un prezioso ricordo per quanti avevano partecipato agli eventi speciali.
A dare il via al consumo della cioccolata dolce era stato primo vescovo cattolico di Città del Messico, il francescano spagnolo Juan de Zumarraga ricordato per il suo benestare ai fedeli ad offrire la bevanda al termine della celebrazione della messa domenicale (usanza ancora oggi presente in California dove si socializza con caffé e dolci vari).
Negli anni successivi, mentre navi cariche di olive, frumento, ceramiche e altro partivano alla volta della Nuova Spagna, in Europa giungevano alberi di cacao e piante di tabacco. Tra il XVI e il XVII secolo poi le piantagioni di cacao a Città del Messico contribuivano al reddito delle missioni e delle scuole dei Gesuiti oltreoceano.
Le prime missioni erano state fondate circa 150 anni prima dell'arrivo di padre Kino, ma il religioso trentino fu il primo missionario cattolico ad essere inviato, nel 1887, ad annunciare il Vangelo nella Pimeria Alta.
Il racconto di Giacon si snoda tra la sua vicenda che si affianca a quella di altri confratelli, come padre Pfefferkorn,(anche se alcuni, come il religioso noneso, avrebbero preferito partire alla volta della Cina sulla scia di Martino Martini) e la vita dei Nativi di Pimeria.
Si scopre così il “frutteto storico” di padre Kino alla missione di Tumacacori, studiato dagli agronomi dell'università dell'Arizona .
Ma il testo è prezioso anche per l'ampia parte dedicata alle “ricette antiche e contemporanee”: dall'autentica cioccolata messicana a quella italiana, siciliana o piemontese fino alla Torta Sacher, nella ricetta che Rosalia Chini aveva portato da Vienna, e poi ancora il minestrone di fagioli e jalapenos, l'autentica tortilla de trigo sonorense … : quando si dice intreccio di culture, anche in cucina.
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