La sfida della kermesse trentina rimane quella di prefigurare quale rinnovato sistema economico possa reggere il pianeta
LO SPUNTO
Caro de Battaglia, domenica 2 giugno si è concluso il Festival dell’Economia e mi pare che anche quest’anno l’interesse e la partecipazione non siano mancati. I giornali locali hanno dato molto risalto ai dibattiti e alle proposte del Festival, animando una riflessone sull’economia più che necessaria, non limitata agli “esperti” ma dedicata a temi che toccano direttamente la vita e gli interessi delle famiglie: il lavoro, i risparmi, le pensioni. Il Festival ha il merito di mostrare che l’ “economia” non può ridursi solo alle formule finanziarie o alle preoccupazione sullo “spread”, ma al tempo stesso suggerisce come in tempi di globalismi e populismi, anche in una terra di montagna autonoma come il Trentino – soprattutto in una terra di montagna autonoma – l’economia vada rifondata, non solo studiata. Spunti in proposito ne sono usciti di interessanti. Da alcune parti sono però emerse lamentele, se non recriminazioni, per certe mancate presenze, o per assenze di personaggi politici o mediatici. Ma mi domando se era davvero necessario che uomini come Salvini, Di Maio, Conte … venissero al Festival.
Chiara Corradini
La presenza a Trento di uomini di governo ai quali non manca certo visibilità e risonanza, sarebbe stata utile, a nostro avviso, se fossero venuti a fare qualche annuncio clamoroso – che dire – di conversione o riconversione della loro politica e visione del mondo.
Se Salvini, ad esempio, rinunciando ad agitare il rosario, fosse venuto ad annunciare che dopo aver ben meditato s’è reso conto (come tanti ormai per fortuna) che senza Europa saremmo più poveri e soli, più abbandonati di fronte ai rapaci egoismi cinesi o alla rancorosa volontà punitiva di Trump. O se Di Maio fosse venuto a riconoscere che i pensionati non sono profittatori di regime, che i debiti, dopo tutto, pesano non solo sugli stati, che di troppi debiti si muore, che qualcuno prima o poi deve pagarli e che la vecchia società del notabilato aristocratico meridionale (quella dei cosiddetti “gattopardi”) non è riuscita a trasformarsi in classe dirigente nella modernità, dovendo abbandonare terre e palazzi, proprio perché troppo indebitata. Ma poiché una conversione sembra ancora lontana, ci si chiede davvero quale “surplus” di interesse avrebbe potuto avere il Festival dell’Economia ascoltando a “viva voce” ciò che già ogni giorno i personaggi citati (e molti altri!) twittano dai loro telefonini. Va dato quindi atto al presidente della Provincia Fugatti di essere riuscito a gestire il Festival con equilibrio, ed anche con prudenza, impedendo, nonostante i tempi, che si trasformasse in un “selfie” collettivo.
Il punto è che il Festival di Trento, dopo 14 edizioni di successo, non può usare studi e riflessioni sull’economia per farne uno scenario di mattatori in cerca di vanità. Il Festival, piuttosto, da un lato si presenta come un valore aggiunto forte per il Trentino, l’Università e la Provincia, la sua gente e i giovani, per i contatti che apre e le relazioni che consente attorno alla prestigiosa casa editrice Laterza. E dall’altro “tempra” (per usare le parole così incisive e definitive del Foscolo) lo scettro dei reggitori economici per mostrare “di che lacrime grondino e di che sangue”, ma anche per svelare di quali debolezze si ammanti il loro potere e di quanti inganni sia tessuta la trama dell’infinito sviluppo e progresso che promettono. La sfida vera, infatti, è oggi prefigurare quale rinnovato sistema economico possa reggere il pianeta (la terra del riscaldamento globale, di risorse –acqua – che tornano scarse, di migrazioni, di tecnologie che sembrano voler escludere l’uomo sostituendolo con l’artificialità) senza trascinarlo in guerre e distruzioni. Il Festival non ha tradito queste prospettive.
Chi soltanto scorre i comunicati dell’ottimo Ufficio Stampa della Provincia ha sotto mano una più che stimolante “Agenda” delle cose da affrontare. Ne citiamo solo alcune, quali “paracarri” di vie da percorrere, di strade (non autostrade distruttive come la Valdastico!) che possono consentire al Trentino di corrispondere al suo storico ruolo di crocevia di appartenenze e laboratorio di futuro in Europa.
Fra i punti “caldi” emersi c’è quello dello smantellamento degli enti intermedi, e conseguente scomparsa di una “classe media”, prima causa dell’impoverimento e involgarimento del Paese (e andrà ripreso il dibattito coordinato dal direttore de l’Adige Alberto Faustini) la “terza via” della Cooperazione, essenziale (Euricse con Carlo Borzaga) la necessità di riscoprire l’importanza dei lavori cosiddetti umili (i postini, i bidelli, i portieri, i controllori, i centralinisti che non bastano certo le telecamere o le risposte automatiche a sostituire) i giovani all’estero, una risorsa che occorre saper fare tornare. Queste sono alcune fra le principali sfide anche per il Trentino. Riguardano tutti, cittadini e politici, e tutti devono fare la loro parte di lavoro per affrontarle, tenacemente, anche oscuramente. Non basta apparire sulla ribalta mediatica.
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