Le prime decisive sfide sono la scelta dei leader ai vertici dell’UE e il nuovo bilancio comunitario
L’ondata sovranista e di destra non c’è stata. Il Parlamento europeo che esce dalle elezioni del 26 maggio ha infatti riconfermato la maggioranza di partiti pro-europei che portano a casa 504 seggi sui 751 dell’intera Assemblea di Strasburgo. I sovranisti si fermano a 171 con una modesta crescita di 22 seggi rispetto al vecchio parlamento.
Insomma, la maggioranza assoluta di voti (376) è ancora saldamente nelle mani di coloro che credono nell’importanza del processo di integrazione europea. Le ragioni contingenti di questa tenuta, al di là degli aspetti ideologici pro-integrazione, sono da ritrovare molto probabilmente sia nel grande caos in cui è piombata la Brexit sia nel timore di perdere i grandi vantaggi che oggettivamente l’Unione ha portato a tutti noi cittadini.
Per di più, a colorare di positività questo voto, vi è anche la buona crescita (da 52 a 69) del movimento dei Verdi in alcuni Paesi europei (non da noi in Italia), che mettono in campo un tema fondamentale non solo per l’Europa ma per il mondo intero: la lotta per il clima. Si tratta, fra il resto, non solo di una questione di protezione dell’ambiente e controllo dell’inquinamento, ma di un nuovo modo per affrontare il futuro industriale ed economico dell’Unione attraverso l’uso di nuove tecnologie e di un modello di sviluppo sostenibile. Insomma, un programma chiave per rendere l’UE punto di riferimento internazionale di un diverso modo di affrontare la crescita economica. Tutto bene, quindi? E’ difficile crederlo, anche perché prima di affrontare questi grandi temi le forze politiche pro-Unione dovranno dimostrare di essere in grado di fare fronte a diverse sfide.
La prima, che già si è profilata all’orizzonte nella cena informale dei capi di governo del 28 maggio, è quella di dare un volto a coloro che guideranno l’UE nei prossimi 5 anni, dal presidente della Commissione al governatore della Banca Centrale Europea: tempi che saranno molto lunghi per il semplice motivo che è difficile mettere assieme le ambizioni e richieste di 27 Paesi membri (senza contare la Gran Bretagna).
La seconda sfida è quella del futuro bilancio comunitario, che coprirà le politiche di competenza dell’Unione per i prossimi sette anni. E’ ovvio che si assisterà ad una battaglia senza quartiere fra i 27 per ottenere il massimo sulle voci di bilancio di interesse nazionale. Ad esempio i Paesi del sud chiederanno maggiori risorse per fare fronte ai flussi migratori, quelli dell’est vorranno continuare a mantenere i fondi strutturali e di coesione che hanno fatto volare in questi ultimi anni le loro economie. Infine, non è il caso di dimenticare che se anche non vincitori in questa tornata elettorale, i partiti di destra e xenofobi sono ormai una realtà in tanti Paesi membri dell’UE. La loro ideologia è palesemente in contrasto con i valori di fondo su cui l’UE si regge: democrazia, diritti umani, libertà di stampa e solidarietà per citarne i principali.
Si assiste quindi ad una pericolosa involuzione nel modo di concepire la nostra società e la stessa integrazione europea. Valga per tutti l’allarme lanciato dalla cancelliera Angela Merkel che parla apertamente di “spettri del passato”, come l’antisemitismo e la xenofobia, riemergenti in Germania e in altre parti d’Europa, che mettono a rischio le basi stesse di pace e democrazia su cui è vissuta l’Unione europea nel dopoguerra. Avremo bisogno quindi della maggiore possibile coesione dei partiti pro-europei per combattere questi segnali di ritorno ad un passato che pensavamo sepolto. Ma soprattutto, dovremo riuscire a nominare al vertice delle istituzioni europee grandi leader in grado di ridare forza e speranza ad un’Unione oggi quasi rassegnata. Le scelte dei prossimi giorni e settimane saranno quindi decisive per il nostro futuro comune.
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