Una scommessa vincente quella fatta da fratel Luciano Levri in Albania per salvare migliaia di bambini dall’abbandono scolastico. Marianista, nativo di Fiavé, ma residente a Riva del Garda, da 19 anni coordina la missione marianista in Albania per il riscatto della popolazione rom, che qui è particolarmente numerosa.
Nato nell’ottobre 1944 a Fiavé in provincia di Trento, Luciano si diploma al liceo classico e quindi diventa marianista nel 1956, abbracciando la vocazione propria dei marianisti, il missionarismo culturale.
Dopo la laurea in Filosofia alla Cattolica di Milano nel 1973, insegna filosofia a Pallanza finché nel 1974 è chiamato in Calabria, a Condofuri, a reggere la missione marianista.
Una vita avventurosa, con parecchi colpi di scena. Come in Calabria, dove Luciano Levri rimarrà per 21 anno fondando il Centro giovanile che lavora sui diritti delle persone. Il parlare schietto e senza paura unitamente al coraggio di denunciare la miriade di sequestrati legati alla criminalità organizzata gli alienano l’appoggio dei poteri “forti” della Calabria, creando le premesse per l’attentato mafioso del 1991, allorquando una bomba viene fatta esplodere nella notte del 24 agosto alle 1 e 38 davanti al portone centrale del Centro giovanile parrocchiale “La nostra valle” di Condofuri Marina.
Il fatto turba profondamente la popolazione e i giovani del Centro giovanile, oltre alla comunità marianista che da 21 anni lavora in tutta la valle Amendolèa.
L’incontro della comunità marianista con i rom di Lezhe e più in generale d’Albania avviene a causa dell’alluvione del quartiere Skenderberg, abitato principalmente da rom ed egiptians.
“Era il 2004 e a noi marianisti del centro giovanile di S. Maria la Caritas propose di preparare i pasti per le famiglie rom che abitavano nelle baracche allagate e che erano attendate in una misera tendopoli – racconta Luciano Levri, riandando all’origine dell’iniziativa per i rom –. Da questo incontro è nata una conoscenza reciproca e un’amicizia cresciuta nel tempo, per cui dopo averli invitati a frequentare il nostro Centro giovanile, hanno iniziato a partecipare a tornei di calcio, a corsi di alfabetizzazione, allenamenti e a tutte le iniziative del centro. L’impatto con i bambini e i ragazzi bianchi all’inizio è stato un po' burrascoso: incomprensioni, baruffe, litigi, offese… poi, lentamente si è instaurato un clima di accettazione reciproca, di rispetto, mai però sfociato in amicizia”.
“Nel settembre 2004, per la prima volta, abbiamo iscritto 25 bambini rom alla I classe elementare, nelle tre scuole statali di Lezhe: è stata una festa per tutto il quartiere. Vedere i loro figli con lo zainetto pieno di libri sulle spalle, e tenendosi per mano andare a scuola, ha fatto inumidire gli occhi a genitori e nonni. All’inizio iscrivere i bambini rom alla scuola statale era una contrattazione continua: ogni direttore di scuola cercava di accettarne il meno possibile per paura che la scuola diventasse ‘La scuola dei rom’”, ricorda Luciano.
“Quest’anno dopo 14 anni di lavoro i bambini rom che abbiamo iscritto alla scuola statale sono 190, fino alla 9a classe, e il rapporto con la scuola è molto migliorato, grazie all’impegno di alcuni insegnanti e di un nostro mediatore culturale rom, che collabora con loro per aiutarli a risolvere i problemi che nascono all’interno della scuola, e anche per controllare assenze, risultati scolastici, problemi con le famiglie, ecc…”.
L’incontro fra la cultura maggioritaria di Lezhe e quella zingara è caratterizzato da un forte pregiudizio reciproco, perché come per i “gagè” anche per i rom la diffidenza e la paura dell’altro sono qualcosa di radicato in secoli di ostilità se non di persecuzione.
“La scuola è e resterà un agente di acculturazione, che non può fare altro che avvicinare le minoranze alla cultura maggioritaria – sostiene ancora fratel Luciano –, l’importante è che non sia, o diventi il meno possibile, strumento di ‘deculturazione’, cioè rispetti le diversità e dia cittadinanza culturale anche a culture diverse… La scuola in questo senso è la scommessa delle famiglie Rom a Lezhe. Tutte hanno compreso l’importanza della scuola per i propri figli e hanno capito anche che un processo di integrazione è possibile. E’ visibile e forte, oggi, soprattutto nei giovani, il desiderio di trovare occupazione, perché intravedono in essa l’unica possibilità di uscire dall’emarginazione e rendere concreta l’integrazione”.
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