Le parole di Ventotene

All’approssimarsi delle elezioni europee è utile riandare alle radici della vocazione europeista

E’ con un senso di curiosità ed emozione che si risale lentamente il cimitero monumentale parigino di Père-Lachaise alla ricerca delle tomba di Piero Gobetti, una tomba semplice dove riposa l’intellettuale e uomo politico “liberale”, costretto all’esilio e morto ad appena 25 anni in seguito alle percosse dei fascisti il 15 febbraio del 1926. Gobetti sognava un’Europa senza frontiere, “federalista”, nell’ambito di una “rivoluzione liberale” capace di esaltare le capacità dei singoli individui e di elevarne lo spirito.

Ci si avvicina alle elezioni europee ed è forte l’esigenza di riandare alle radici della stessa vocazione europeista, alla nostra comune memoria. Agli anni in cui, ad esempio, Ernesto Rossi dal carcere romano di Regina Coeli dove scontava la pena inflittagli dal regime fascista, scriveva alla madre, ed era il 1935: “Io mi sono sentito sempre più europeo che italiano. Meglio: mi sono sentito italiano solo in quanto questa qualità mi dava il modo di affermarmi come europeo”.

Lo stesso Ernesto Rossi, insieme ad altri oppositori al regime come Sandro Pertini, Luigi Longo, Umberto Terracini, Eugenio Colorni ed Altiero Spinelli (tutte persone che avevano fatto proprio il monito kantiano: “Il cielo stellato sopra di me, la coscienza morale dentro di me”) saranno confinati a Ventotene, l’isola in provincia di Latina dove nella primavera del 1941 – nel pieno della bufera della guerra – scrissero quel grande documento “Per un’Europa libera e unita” diventato poi famoso come “Manifesto di Ventotene”, dove in apertura si legge: “La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita”.

Mio padre da giovane carabiniere, appena poco tempo dopo essere arruolato, era stato mandato per un periodo a Ventotene in quegli anni tra il 1933 e il 1938 e ricordo che mi riferiva – molti anni dopo – come gli apparisse strano, a lui e ai suoi colleghi messi di guardia in quel luogo insulare, che quelle persone così posate e riflessive che passeggiavano nel cortile nell’“ora d’aria”, alcuni fumando una sigaretta e pacatamente conversando, fossero dipinte, dalla propaganda del regime, come “facinorosi” e “pericolosi sovversivi”. Non sapeva, lui giovane militare, chi fossero nello specifico, come si chiamavano, quale ruolo avevano ricoperto all’interno della società italiana prima di quell’isolamento cui erano costretti. Gli apparivano semplicemente persone normali, dignitose, anche fin troppo serie e riflessive.

L’isola di Ventotene, a pensarci, da luogo confinario e lontano dal mondo e isolato, grazie a quelle persone coraggiose, possiamo ben dire che è diventata una fucina di idee e di elaborazione del pensiero che avrebbe in seguito dato un contributo fondamentale alla “scrittura” della nostra Costituzione e alla nascita stessa dell’Europa unita.

“La nostra salvezza in carcere – scriveva Ernesto Rossi – fu proprio lo studio”, favorito in qualche modo dai tempi dilatati e sospesi dell’isolamento e dalla solitudine che si respirava a Ventotene, “ombelico della tempesta”, l’isola dove il tempo è a volte “carogna” e il piroscafo non arriva. Era stata forte l’amicizia sincera di Rossi e la collaborazione con Gaetano Salvemini e con Carlo e Nello Rosselli, nella metà degli anni Venti, in quello che si rivelò forse il primo foglio clandestino e antifascista d’Italia dal nome non a caso simbolico “Non mollare”. Un monito a resistere, a saper vedere oltre il momento buio contingente.

Ed a resistere aveva contribuito Alcide De Gasperi, “confinato” ed esiliato in biblioteca in Vaticano, e molte altre personalità di estrazione cristiana e cattolica che vedevano nel fascismo la negazione dei diritti e della libertà.

Nella parte finale del “Manifesto di Ventotene” si legge: “Oggi è il momento in cui bisogna sapere gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge così diverso da tutto il resto che si era immaginato, scartare gli inetti tra i vecchi e suscitare nuove energie tra i giovani”. Le ragazze e i ragazzi che hanno manifestato per il loro futuro nelle settimane passate in tante piazze e strade – in Italia, in Europa e in tutto il mondo – rappresentano di sicuro queste “nuove energie”. Per dire, come insisteva Ernesto Rossi, che “sulla storia dell’umanità non cala mai il sipario e attori del dramma siamo noi, con la nostra volontà e i nostri ideali”.

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