L’Istituto Diocesano Sostentamento Clero nella testimonianza di Vito Sandri, il direttore laico che lo ha guidato fin dai primi anni
Nell’esprimere il grazie della Chiesa trentina i colleghi a dicembre gli hanno regalato attrezzature per la pesca, uno degli hobby praticati assieme alla filatelia e al modellismo. E’ prepensionato dal primo gennaio scorso, Vito Sandri, che ripercorre volentieri con Vita Trentina i suoi quasi 30 anni (29 per la precisione) alla direzione dell’Istituto Diocesano Sostentamento Clero, l’importante ente che coordina a livello diocesano e nazionale il sostentamento di tutti i sacerdoti italiani. “Quando arrivai in Curia nel giugno del 1990 era presidente dell’IDSC l’indimenticabile don Ettore Iseppi – riepiloga Sandri – e ci fu da impostare il nuovo sistema di sostentamento del clero introdotto pochi anni prima dalla legge nazionale varata dopo la revisione del Concordato. Un avvio appassionante e impegnativo, fra l’altro con il trasferimento della proprietà ex Mensa Vescovile alla Sarche che ancora oggi copre il 50% delle entrate dell’Istituto. In questi 30 anni l’Istituto Diocesano ha avuto una mutazione importante avvenuta per capitoli diversi.
All’inizio non mancò qualche resistenza negli stessi sacerdoti…
Era normale, all’inizio “leggevano” l’Istituto come una sorta di “espropriatore”, in quanto doveva togliere dei benefici patrimoniali ad alcune realtà parrocchiali per accentrarli in un unica gestione. Quest’atteggiamento era soprattutto in alcuni parroci più “provveduti” – come diceva il nostro consigliere don Dante Borghesi – ma gradualmente tutti compresero la validità del nuovo sistema legato alle entrate dell’8 per mille che riusciva con un meccanismo perequativo a garantire a tutti i preti italiani un sostegno dignitoso. Si comprese anche che l’Istituto avrebbe operato con un ruolo operativo distinto e preciso, ma in armonia con i vertici diocesani e con il controllo attento dell’Istituto Centrale che ha sempre apprezzato la gestione trentina”.
Come spiegare ad un profano l’attività dell’IDSC?
Potremmo agire che – oltre a relazionarsi con tutti i preti trentini per il loro sostegno – opera principalmente come un immobiliare. Ovvero cerca di gestire al meglio terreni agricoli, appartamenti e, in piccola parte, attività commerciali. Con alcune attenzioni dichiarate: nell’edilizia abitativa si privilegiano coppie giovani , anziani e famiglie di lavoratori immigrati; nell’attività agricola c’è un occhio di riguardo per le iniziative di giovani imprenditori.
Quale criterio-guida vi ha ispirato?Prima di tutto di essere una casa di vetro. Per garantire la massima trasparenza abbiamo sempre reso pubblici i nostri bilanci e cercato di spiegare le scelte assunte in questi anni. Non sempre il discernimento è stato facile perché la nostra attività corre sul crinale pericoloso che separa Morgan il Pirata da San Francesco, la redditività e la pastoralità. Possiamo però precisare di non aver mai voluto gestire patrimoni mobiliari come azioni e titoli bancari.
Di che cosa è particolarmente soddisfatto, rivedendo le 240 sedute del Cda guidate in questi anni?
Sembrerà strano, ma soprattutto del fatto di aver creato un team di dipendenti molto affiatato e coeso. E anche motivato nel sentire che – come diceva il presidente Gianni Benedetti – bisogna “sapersi mettere la giacchetta dell’IDSC” per interpretare con convinzione uno stile di lavoro condiviso. Se posso avrei poi un altro aspetto di cui sono soddisfatto..
Prego…
Penso alla collaborazione che abbiamo potuto offrire ad altre realtà diocesane: penso all’Opera Diocesana per la Pastorale Missionaria fin dai tempi di don Manzana con la gestione delle donazioni immobiliari oppure a Charitas Tridentina quando ci affidò la vendita della Colonia di Calambrone. Mi ricordo che andai a parlare anche con possibili clienti americani, ma alla fine si trovò un buon acquirente toscano…
E i preti trentini oggi come “leggono” l’Istituto?
Credo che ci sia un buon rapporto di fiducia. Sanno che la gestione è seria e che – quando lo richiedono – possono trovare da noi anche la disponibilità ad un consiglio tecnico.
Con uno dei tre vescovi con cui ha collaborato, mons. Bressan, lei ora scambierà solo francobolli…
La mia passione filatelica è concentrata sui valori bollati che viaggiavano sul nostro territorio nel periodo austroungarico. Mi emozione e mi appassiona, ad esempio, ritrovare il doppio timbro – sia austroungarico che lombardo veneto – che un ignaro impiegato delle poste apponeva sulle cartoline nei primi anni del secolo scorso.
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