SOMMARIO = Nel 2018 sono aumentati in Italia l’intolleranza, l’odio e la discriminazione. Anche in Rete. Sui social però il problema non sono le parole, ma come noi le usiamo
SOMM2 = Il manuale d’uso di una sociolinguista, Vera Gheno, e di un filosofo della comunicazione, Bruno Mastroianni
Il 2018 è stato segnato in Italia, l’abbiamo ricordato sul numero 49 di Vt, dall’aumento “dell’intolleranza, dell’odio e della discriminazione”, come certifica il rapporto di Amnesty international “Rights Today”. Nell’anno che si sta concludendo il linguaggio istituzionale si è incattivito, “in particolare attraverso la vera e propria crociata fatta sui social network del ministro dell’Interno (Matteo Salvini, ndr) nei confronti di rifugiati e migranti, delle associazioni che li assistono e financo di rappresentanti istituzionali che hanno cercato di suggerire forme per la loro migliore integrazione, come il sindaco di Riace, o di tutelarne i diritti contro gli abusi dello stato, come il procuratore di Agrigento”, osserva l’organizzazione per i diritti umani. Una continua diffusione di odio che “ha contribuito a creare condizioni propizie per la preoccupante serie di crimini d’odio contro persone di colore, quali la tentata strage di Macerata a febbraio e altri crimini violenti riportati dalla stampa durante l’anno, da Sassari a Brindisi, da Aprilia a Morbegno, da Castel Volturno a Moncalieri”. In Trentino, abbiamo registrato i casi delle minacce all’imprenditrice agricola Agitu Ideo Gudeta e dell’ingegnere di origine congolese malamente apostrofato da un vigilante al mercatino di Natale di Trento.
E’ un odio che non risparmia neppure chi si prodiga per la difesa dei diritti umani, coloro i quali, osserva Antonio Marchesi, Presidente di Amnesty International Italia, “dovrebbero essere il fiore all’occhiello, le ‘eccellenze’, di un Paese” e che invece, ogni giorno, in qualche parte del mondo, “vengono definiti ‘terroristi’, ‘nemici dello stato’ o (prendendo in prestito una definizione in voga sui social media) ‘esponenti di filiere immigrazioniste’ al soldo di qualche potere forte”.
Proprio il linguaggio d’odio (“Hate Speech”) è stato intelligentemente posto al centro del dibattito promosso dalla testata online di informazione sulle questioni globali Unimondo, progetto della Fondazione Fontana con sede a Trento, per celebrare i suoi primi vent’anni di vita. Nell’aula magna dell’Oratorio del Duomo a Trento, la sociolinguista Vera Gheno e il filosofo della comunicazione prestato alla tv Bruno Mastroianni (collabora con alcune trasmissioni di Rai3) hanno offerto una ricca messe di consigli e suggerimenti, dettati anche dalla loro feconda esperienza a contatto con innumerevoli incontri con studenti e studentesse delle scuole italiane, per usare bene le parole quando comunichiamo in Rete. E’ questo anche il tema del loro recentissimo libro Tienilo acceso (Longanesi, 14,90 euro), in libreria dalla fine di agosto, 288 pagine di indicazioni, suggerimenti, consigli per imparare a padroneggiare la comunicazione sui social senza lasciarsene schiacciare, a decifrarne i messaggi senza lasciarsi manipolare, a capire e farsi capire attraverso una scelta accorta e consapevole delle parole giuste. In altre parole, per imparare a essere presenti sui social “senza spegnere il cervello”. Che, almeno a giudicare dagli esempi portati da Gheno e Mastroianni, è invece quello che accade alla maggior parte di tutti noi, forse convinti di lanciare i nostri messaggi protetti dall’anonimato e dimentichi delle conseguenze, talvolta pesanti, nel e sul mondo reale del nostro comportamento in Rete. “Si può dissentire anche senza litigare”, ha osservato Vera Gheno, che si occupa anche del profilo Twitter dell’Accademia della Crusca e fa parte del comitato scientifico del progetto “Parole ostili”. “Sui social riceviamo tante parole e altrettante ne immettiamo, anche se spesso non siamo molto consapevoli del significato di quelle che usiamo. Eppure ogni volta che noi scegliamo una parola, dichiariamo agli altri chi siamo. E questo è tanto più vero sui social, dove non abbiamo l’aiuto della vista. Online noi siamo le parole che scegliamo di usare”. Sui social il problema non sono le parole, ma come noi le usiamo. “Libertà – concludeva – non è dire tutto quello che si pensa, ma scegliere bene quello che si dice”.
“Pensiamo che dobbiamo usare bene le parole, ma non è questo, non è questione di uso. Comunicare è altro. Dobbiamo piuttosto imparare ad argomentare: in Rete, e non solo”, consiglia Bruno Mastroianni da esperto di dinamiche dei social media (è autore anche di La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico). “Argomentare significa cercare di dire cosa è il mondo per noi, chi siamo e quale posto cerchiamo di ritagliarci. L’odiatore sul web, l’Hater, fa questo argomenta. In un modo che magari non ci piace, ma con cui dobbiamo fare i conti”. La tentazione è quella di cancellare, di escludere chi riteniamo scorretto, stolto, ignorante. “Se vogliamo affrontare il problema dell’odio sui social dobbiamo accettare la sfida della relazione con chi è diverso, o riteniamo diverso, da noi. Il nostro comunicare è diventato una riunione di condominio globale. E’ il momento di trovare un nuovo modo di vivere l’iperconnessione in cui siamo immersi, a partire proprio dalla differenza che incontriamo nell’altro”. Partire dalle differenze – linguistiche, culturali, di competenza -, per affrontare il grande problema di oggi, che è quello dell’esclusione nella comunicazione, che produce esclusione nella conoscenza. “Aprendoci all’incontro tra le differenze, che è il dissenso, potremo dare il nostro contributo a rendere realmente democratica la nostra società e ad arginare la manipolazione del consenso”, è la conclusione improntata all’ottimismo dei due relatori. Nelle cui parole si è colta la stessa speranza di cambiamento registrata alla fine di questo 2018, incarnata da quei cittadini e da quelle associazioni che si sono organizzati per opporsi alla crescente violenza xenofoba e ai discorsi d’odio, ad esempio offrendo concreta assistenza a rifugiati e migranti, come osserva Amnesty International formulando un auspicio: “Nel 2019 avremo ancora bisogno del loro coraggio e della loro energia, e di quella di sindaci, funzionari ministeriali, magistrati e altri rappresentanti delle istituzioni votati alla difesa dello stato di diritto e dei diritti di tutti, anche a costo di nuotare controcorrente”.
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