Ho visto in faccia il dolore. Scolpito tra le pieghe del viso di mamma Annamaria. Il volto dell’addolorata, proprio come è stata immaginata e rappresentata Maria, ai piedi della croce. In attesa di accogliere la salma del figlio, la madre di Antonio Megalizzi era lì, in una stanza della canonica di Cristo Re, coccolata teneramente dalla figlia Federica, avvolte nell’affetto dei parenti più stretti.
In quelle ore, il figlio Antonio era già assurto a icona, al di sopra delle parti, disinnescando ogni strumentalizzazione: simbolo di una generazione, di un ideale, di uno stile di vita. Di più: di una vera passione per la vita. Di là, oltre la soglia del mistero della morte di Antonio, la percezione di un flusso inarrestabile di slancio vitale che contraddiceva un elettro-encefalogramma praticamente piatto, fin dal primo momento dello sparo assassino.
Al di qua, un’altra passione. Ma nel senso del patire più radicale, di una sofferenza inaudita. Senza cercare compatimento, ma anche senza se e senza ma, senza ragioni, senza respiro, senza alcun apparente spiraglio. In mamma Annamaria – e in chi ha amato Antonio – l’altra icona di passione provocata da questa tragedia.
Poi Annamaria trova la forza: “Ricordi – mi dice – quando venne da voi in radio?”. Non aveva ancora diciotto anni, Antonio, ma quell’attrazione per il microfono la coglievi al volo. “L’aveva scoperta venendo in vacanza in Calabria e osservando la radio che io gestivo”, ci tiene a precisare zio Demetrio, fratello di papà Domenico. Nipote d’arte, Antonio.
Io lo ricordavo, eccome, quel viso non ancora maggiorenne sulla soglia dello studio della radio diocesana in una pausa della diretta, mentre chiedeva di poter provare a fare qualcosa dietro il microfono o al mixer. “Mi chiamo Antonio. Antonio Megalizzi”. Deduco: “Sei per caso parente di Annamaria e Federica? Loro sono della mia parrocchia, le conosco bene”. Non vi fu il tempo per proseguire il discorso. La diretta incalzava, la porta dello studio si chiuse e ci lasciammo con l’idea di rivederci con più calma. Ma Antonio in radio non capitò più. Solo due giorni fa ho capito. “Sai – sussurra Annamaria – quel giorno, quando arrivò a casa, Antonio era arrabbiato: non voleva che la tua risposta potesse essere condizionata dal fatto che conoscevi i suoi familiari. Lui ci teneva ad essere valutato come Antonio e basta”. Orgoglioso di essere misurato per quello che da sé poteva dare, senza condizionamenti. Senza “spintarelle”. Solo per quel flusso di entusiasmo, di capacità, di conquista misurata sul merito.
Il volto sofferente di Annamaria si stempera per un poco in un sorriso. L’orgoglio ora è anche è anche il suo. Di fronte a un figlio così. E quelle due icone della passione, apparentemente contrastanti, sembrano improvvisamente fuse una nell’altra. Non c’è contrasto, non c’è contraddizione. Solo l’amore di una madre che sa di aver dato alla luce un figlio che è diventato il figlio, il fratello, l’amico di tutti. E dall’agonia della croce sembra sorgere già una promessa di eternità.
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