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Una delle sfide principali della Conferenza ONU sul Clima (COP24) consiste nell’implementazione delle norme contenute all’interno dell’Accordo di Parigi. A causa delle politiche attualmente portate avanti dai singoli stati, i limiti fissati dall’Accordo sono ben lontani dall’essere rispettati. Diventa quindi cruciale anche l’utilizzo di strumenti giuridici ed economici per incoraggiare le amministrazioni statali ad adottare leggi in ambito climatico che siano più in linea con gli obiettivi ambientali internazionali. Due istituti di carattere internazionale, il Centre for International Sustainable Development Law (CISDL) e il Green Economics Institute (GEI), sono stati invitati alla COP24 per esporre i propri studi relativi agli strumenti da utilizzare per modificare l’attuale – ed eccessiva – passività degli stati in materia ambientale.
L’intervento del CISDL, improntato sugli aspetti giuridici, ha chiarito come innanzitutto le leggi climatiche debbano essere caratterizzate dalla flessibilità in modo tale da poter essere rese nel tempo coerenti con il progredire della ricerca scientifica. In secondo luogo, è emersa la necessarietà della creazione di un meccanismo di controllo che sia strettamente collegato al processo di formazione legislativa.
Oltre alla forma delle leggi è anche necessaria una spinta che provenga dall’alto: i decisori politici sono infatti chiamati ad adottare tassazioni sul carbone e a promuovere sussidi per gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili. Spesso però le leggi sul clima pongono problemi in quanto la popolazione non si sente rappresentata dalle decisioni prese dai propri governi. Un esempio è quello della Francia che sta affrontando un momento difficile a seguito dell’introduzione della tassa sul carbone, avvenuta senza un dialogo con i cittadini. A questo riguardo, bisogna però tenere a mente che le procedure prescritte dalla legge non sempre prevedono la partecipazione attiva dei cittadini nella creazione di leggi. Non si tratta di un procedimento ideale, ma pragmatico.
Un ulteriore fattore che complica l’introduzione della carbon tax consiste nell’impossibilità di ricondurla solamente ad alcune branche del diritto. Non si tratta infatti di un istituto che riguarda solo il diritto amministrativo o il diritto tributario/pubblico, ma anche il diritto commerciale e il diritto del lavoro. Ad esempio, è necessario tenere conto di tutte le implicazioni che potrebbero ripercuotersi nei confronti dei lavoratori nel settore del carbon fossile affinché si possa avere una giusta transizione.
Più incentrato su aspetti economici è stato l’intervento del GEI. Gli studi condotti dall’istituto dimostrano la possibilità di raggiungere gli obiettivi fissati da Parigi tramite un cambiamento delle proprie abitudini quotidiane; più precisamente, con la riduzione di emissioni di CO2 a 2 tonnellate per persona su base annuale entro il 2022. Affinché le persone siano messe nella condizione di contribuire, bisogna però tenere conto di due tipologie di costi: i costi di informazione, necessari perché vi sia consapevolezza da parte dei cittadini, e i costi per gli incentivi, fondamentali nel processo di investimento.
In questo momento, il problema consiste nel fatto che il carbone è relativamente economico rispetto al prezzo delle energie rinnovabili, il che comporta una minore attrazione per gli investimenti nel settore della green economy. L’attuale situazione è nelle mani dei governi che dovrebbero intervenire in termini di tassazione del carbone e di sussidi per energie rinnovabili. In conclusione, il percorso verso l’implementazione dell’Accordo di Parigi vede come attori fondamentali anche gli studiosi del diritto e dell’economia. Questi sono infatti chiamati ad elaborare nuovi strumenti e a migliorare quelli già esistenti, in modo che siano facilmente disponibili ai decisori politici. Questa forma di collaborazione multi-livello sarà decisiva affinché si possa avere una transizione giusta ed effettiva.
Tommaso Orlandi
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