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La decrescita propone cioè un sistema di produzione che sia sostenibile, che non ha come obiettivo la riduzione del PIL, ma il cambiamento della nostra mentalità capitalistica, basata sulla sovrapproduzione e sul consumo eccessivo, sia a livello locale che globale.
Il panel che abbiamo seguito qui alla COP24 ha visto un’importante partecipazione di giovani donne con diversi background culturali, cosa non affatto scontata. La prima relatrice, Linda Schneider della Fondazione Henrich Böll, ha presentato un documento dal titolo “Realismo radicale per la giustizia climatica” (https://www.boell.de/en/radicalrealism) che affronta la transizione da un sistema capitalista a un sistema di decrescita.
Il lavoro esposto da Schneider è solo una delle risposte che la società civile sta cercando di dare per limitare il riscaldamento globale, proponendo un quinto percorso alternativo ai quattro contenuti nel Report IPCC. Quello che il documento sostiene è che stare dentro l’aumento di “1,5° C è possibile anche senza affidarsi a tecnologie di geoingegneria speculative e rischiose– ma con un’agenda per il cambiamento politico, basata su giustizia ed equità”. Il documento è composto da otto capitoli che contengono al loro interno conoscenze ed esperienze raccolte da vari gruppi e organizzazioni internazionali. Vale la pena menzionare i due più rilevanti.
Prima di tutto, per prendere le distanze dal capitalismo, dobbiamo interrompere il nostro legame tossico con i combustibili fossili, in favore di un sistema fondato sulle energie rinnovabili, con un approccio di “bene pubblico”. La riduzione delle emissioni andrà infatti a vantaggio dell’intera comunità e la decarburazione farà scendere la domanda di energia. Il problema è che il sistema di produzione energetica è nelle mani dei colossi del combustibile fossile che chiedono un cambiamento anche a livello governativo.
Un altro capitolo del documento si concentra sull’Economia Circolare a Zero Rifiuti, che suggerisce di azzerare completamente la produzione di rifiuti, più che continuare con le pratiche di riciclo e di compostaggio. Ad esempio, quando compriamo imballaggi di plastica per poi gettarli nella differenziata, non tutti sanno che la plastica può essere riciclata solo poche volte prima di diventare un rifiuto inutile e non più riciclabile. Dovremmo dunque evitare del tutto di acquistare plastica, eliminando così la sua produzione o diminuendo quanto meno la domanda. È proprio qui che il consumatore gioca un ruolo importante.
Dovremmo infatti concentrarci sul comportamento individuale dei consumatori, piuttosto che sul sistema produttivo (che, come sappiamo, segue la legge della domanda e dell’offerta).
Sempre nello stesso capitolo viene affrontato anche l’enorme problema relativo allo spreco alimentare: un terzo del cibo prodotto in tutto il mondo viene gettato nella spazzatura, il che significa che anche l’energia utilizzata per produrlo viene sprecata. Considerato che il processo di produzione alimentare ha un enorme impatto sulle emissioni di gas serra, dovremmo iniziare a condurre uno stile di vita più consapevole, con scelte responsabili per limitare la nostra impronta ecologica sull’unico pianeta che abbiamo.
Al panel è intervenuta anche Melissa Moreno, (https://twitter.com/mel_moreano?lang=en), esperta di geografia critica di Quito (Ecuador) che ha introdotto l’idea di buen vivir in contrapposizione a vivir mejor. Il principio del buen vivir è lo stesso di quello della decrescita: suggerisce cioè una strada alternativa al capitalismo, un modo di organizzare la produzione attraverso un controllo collettivo dei mezzi di produzione (escludendo il maschilismo, il patriarcato, il sessismo e il razzismo) e attraverso anche una maggiore connessione alla natura e alla spiritualità, già presente nelle comunità indigene.
L’ultima relatrice, Meera Ghani, ha presentato Ecolise (https://www.ecolise.eu), un network europeo di comunità che portano avanti iniziative sui cambiamenti climatici e sulla sostenibilità. Ha iniziato il suo intervento citando Ursula K. Le Guin: “Viviamo nel capitalismo. Il suo potere ci appare ineluttabile. Così ha fatto il diritto divino dei re. Qualsiasi potere umano può essere contrastato e modificato dagli esseri umani. La resistenza e il cambiamento spesso hanno inizio nell’arte, e molto spesso nella nostra arte, l’arte delle parole.”
Con questo senso di resistenza Ecolise supporta EcoTowns, un’alternativa al consumismo e alla sovrapproduzione. In particolare, gli ideatori di EcoTowns hanno messo a punto un programma che renderebbe possibile il passaggio da un sistema di sfruttamento a uno di prosperità: l’obiettivo finale è quello di riappropriarsi delle proprie vite, delle proprie scelte, del modo in cui consumiamo e rendere le comunità più collaborative. La solidarietà non solo migliorerebbe il nostro benessere in quanto individui, ma migliorerebbe anche il benessere globale, perché creare connessioni reciproche è un modo per prendersi cura di tutti gli esseri umani. In questo modo, lavoreremmo sia sul livello interiore (individuale) che esteriore (collettivo).
La questione centrale è: come rendersi responsabili delle nostre vite e delle nostre azioni? Prima di perderci nel mondo della politica, dovremmo fare un viaggio dentro di noi, cercando di creare equilibrio nelle nostre vite e riscoprire i valori della nostra natura umana, trovando il nostro centro, ma allo stesso tempo, attraverso connessioni significative con altre persone, creare dinamiche di mutuo aiuto. Solo in questo modo capiremo che tutti i sistemi di oppressione sono collegati tra loro e l’unico modo per superarli è quello di affrontarli come un sistema unico.
Tale visione olistica ci farà comprendere che il cambiamento climatico non è il vero problema, ma soltanto un sintomo di qualcosa di più profondo. Albert Einstein sosteneva: “Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero di cui ci siamo serviti per crearli”. Pertanto, abbiamo un disperato bisogno di cambiare la nostra prospettiva, di mettere in discussione le relazioni di potere e di capire quale sia il problema, guardandolo da un altro punto di vista. Questo sguardo sistemico ci mostrerà che il vero problema da affrontare è il capitalismo e che per risolvere le grandi questioni attuali abbiamo bisogno di un nuovo approccio, un nuovo frame dentro il quale attuare con efficacia le politiche ambientali necessarie. Dobbiamo, inoltre, liberarci dai comportamenti dannosi e, invece di assecondare i dettami di una società che ci vuole in competizione, dovremmo piuttosto collaborare e imparare a sentirci di nuovo un’unica comunità.
Probabilmente vi chiederete: come conciliare la decrescita nei paesi in via di sviluppo? Non abbiamo sempre auspicato una crescita per questi paesi? Il capitalismo ha sfruttato il Sud del mondo per decenni ed è arrivato il momento di staccare la spina a questo sistema con ancora più vigore. Il capitalismo ha tolto ricchezza e risorse ad un gruppo di persone (il Sud del mondo) e le ha poste ad uso esclusivo di un altro (il Nord del mondo), nell’illusione che la crescita sarebbe stata inarrestabile. Stiamo assistendo oggi alle conseguenze catastrofiche di questa macchina inceppata, il cambiamento climatico è solo l’effetto collaterale di questo folle meccanismo.
In conclusione, abbiamo l’opportunità di creare uno spazio per il Sud del mondo, favorendo un sistema di decrescita nel Nord, riportando così il giusto equilibrio tra i due mondi. Dobbiamo contrastare ogni singola decisione politica in quanto parte di uno stesso sistema malato. Dobbiamo rinegoziare l’agenda per il clima nel suo complesso, con un nuovo approccio innovativo e inclusivo, ben oltre il regno dei cambiamenti climatici. Perché potremmo stare bene solo quando il nostro pianeta sarà in salute, tenendo presente che la Terra può fare benissimo a meno di noi, ma noi non possiamo sopravvivere senza la Terra.
Veronica Wrobel
(traduzione di Denise Battaglia)
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