L’operazione deve essere avviata al più presto per molti motivi. Il pericolo è che il legname abbattuto sia invaso da insetti xilofagi e funghi che rovinano il legno e creano problemi per il futuro
Riunioni a vari livelli si sono susseguite per decidere come e quando intervenire nei boschi devastati dal tornado del 29 ottobre 2018. E’ comprensibile che si proceda con gradualità e prudenza. All’urgenza di allontanare il legname abbattuto si contrappongono molti altri problemi e procedure da rispettare per non compromettere il ripristino del patrimonio forestale perduto.
Sapere che lo stesso tipo di danni si riscontra anche in altre province o regioni vicine al Trentino può essere confortante, ma non allevia l’urgenza di procedere al più presto con una serie il più possibile coordinata di operazioni. Nel numero 40 de L’Informatore Agrario (8-14 novembre 2018) il prof. Davide Pettenella, docente presso l’Università di Padova e buon conoscitore della realtà forestale del Trentino, quantifica con doverosa riserva l’entità dei danni subiti, limitatamente al volume di metri cubi di legname abbattuto: 4 milioni di metri cubi in Veneto, 2 in provincia di Trento, 1 in quella di Bolzano e 0,8 nel Friuli-Venezia Giulia.
Tenuto conto di altri e più gravi eventi che si sono verificati da gennaio a settembre 2018 in 5 Paesi europei e dell’elevata probabilità che analoghi e forse ancora più devastanti fenomeni si verifichino in futuro, il prof. Pettenella auspica la messa in atto di misure di intervento già adottate altrove, ma non in Italia e più specificatamente lungo l’Arco Alpino. Geolocalizzazione e quantificazione immediata dei danni, mobilitazione e coordinamento delle ditte boschive anche di Stati confinanti, creazione di depositi di stoccaggio in umido dei tronchi, immediata interruzione dei tagli ordinari nei boschi danneggiati. Non è di conforto apprendere che più di una riunione è stata dedicata alla definizione del tipo di autorizzazione al taglio e al prelevamento del materiale abbattuto, dovendo in ipotesi adottare procedure diverse tra boschi di proprietà pubblica e privati.
Può sembrare riduttivo rispetto alla complessità dei problemi da affrontare concentrare l’attenzione dei lettori sui motivi che rendono urgente l’allontanamento delle piante schiantate dai boschi colpiti dal tornado e sulle cure delle ceppaie rimaste in sito dopo lo schianto. Abbiamo consultato sullo specifico argomento tre esperti: Giuliano Casagrande, già dirigente del distretto forestale di Pergine Valsugana, Paolo Gonthier docente di patologia forestale all’università di Torino e Nicola La Porta che si occupa di avversità delle piante ornamentali e forestali da 22 anni, prima come dipendente della Stazione Sperimentale Agraria e Forestale di S. Michele all’Adige e poi in qualità di ricercatore e tecnologo all’interno del Dipartimento agro-ecosistemi sostenibili e bio-risorse della Fondazione Mach.
Il pericolo più immediato per gli alberi schiantati è rappresentato dagli Scolitidi ed in particolare dalla specie denominata Ips tipografus. A questa famiglia di coleotteri appartengono anche altre specie che, a differenza del precedente, attaccano anche piante diverse dall’abete rosso. Si tratta di insetti corticicoli che sono attratti da sostanze emanate dagli strati sottocorticali (floema, cambio) di piante sofferenti per varie cause. In genere il bostrico attacca abeti rossi morti o deperienti per schianti od altre patologie, ma in condizioni favorevoli di sviluppo può colpire e portare a morte anche piane sane. Poiché le piante non sono in grado di opporsi all’attacco dell’insetto opportunista, c’è pericolo che, se gli schianti non vengono asportai tempestivamente, esso vada a colpire anche gli abeti rimasti in piedi. Levare la corteccia dai tronchi abbattuti sarebbe un intervento utile per interrompere l’invasione del bostrico, ma l’operazione rallenta il trasferimento fuori dall’area colpita. Conviene invece trasferire gli schianti in bacini lacustri, stagni o corsi d’acqua oppure sottoporli a continue bagnature per mantenere alto il grado di umidità del substrato e renderlo inospitale.
Non meno grave è il possibile attacco di funghi che possono aggredire i tronchi e le ceppaie degli abeti divelti o stroncati. Si tratta in particolare di due specie fungine: Armillaria mellea e Heterobasidion annosum. Il primo si sviluppa all’esterno e penetra nel legno attraverso superfici aperte. Il secondo aggredisce il legno all’interno e lo destruttura progressivamente. Entrambi uniscono alla capacità invasiva un alto potenziale di sopravvivenza. Se non immediatamente pericolosi per il legname abbattuto, rimangono tuttavia presenti nel bosco devastato e metteranno a repentaglio non solo le ceppaie superstiti, ma anche le nuove piantine alle quali sarà affidata la continuità del patrimonio boschivo. Se si ricorrerà al ripristino del bosco mediante ripopolamento artificiale, sarà necessario allestire nuovi vivai accanto a quelli già operanti a Cavalese (in fase di dismissione), a San Giorgio di Borgo Valsugana e al Casteller di Trento. Il ricorso a piantine provenienti dall’estero è assolutamente da evitare soprattutto per motivi genetici. Il seme da collocare in vivai locali dovrebbe inoltre provenire da molte piante madri per evitare quello che in termine tecnico si chiama collo di bottiglia genetico. I semi prelevati da poche piante madri danno infatti luogo ad abeti tendenzialmente uniformi. Di questo e di altri argomenti ci occuperemo in un prossimo articolo.
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