Sull’onda del #MeToo, è nato un movimento analogo sul versante ecclesiastico: #ChurchToo
“Dobbiamo smettere di tacere, collaborare per essere riconosciute nella nostra diversità e coltivare un'alleanza intelligente del cuore". È il messaggio emerso con forza durante l'intervento di Paola Cavallari, fondatrice dell'Osservatorio Interreligioso sulla Violenza contro le Donne (OIVD) e autrice del libro Non solo reato, anche peccato. Religioni e violenza sulle donne (Effatà, 2018), ospite insieme a Nibras Breigheche, teologa musulmana anch'essa membro di OIVD, dell'incontro promosso dalla Comunità s. Francesco Saverio di Trento e dalla Casa delle Donne di Rovereto svoltosi venerdì 23 novembre all'oratorio di S. Antonio, a Trento, nell'ambito delle iniziative previste per la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
L'appuntamento è stato occasione di approfondimento dedicato all'indagare la responsabilità delle religioni nel mantenimento di quella mentalità patriarcale permeante tutti gli ambiti, che giustifica i comportamenti violenti degli uomini sulle donne.
All'introduzione storico-filosofica sulla formazione del pensiero che considera la donna inferiore offerta da Maddalena Spagnolli, co-fondatrice della Casa delle Donne, è seguito il racconto dell'esperienza avviata da Cavallari. "Il 9 marzo 2015 a Roma – ha spiegato – i rappresentanti di dieci chiese cristiane hanno proposto e firmato un documento ecumenico intitolato Contro la violenza sulle donne, un appello caduto nel vuoto. Di fronte a questo silenzio, nel 2016 il Segretariato attività ecumenica di Bologna di cui sono responsabile ha dato vita insieme alla Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII a giornate dedicate al tema, organizzando annualmente una Tavola rotonda interreligiosa dedicata a ‘religioni e violenza sulle donne’. Poi è stato creato l'Osservatorio con il compito di vigilare affinché l'appello sia divulgato e applicato, nella consapevolezza che quello degli abusi e discriminazioni subite dalle donne è un tema trasversale a tutte le religioni".
Il libro rappresenta una nuova tappa: in esso sono raccolti i contributi di donne e uomini impegnati nel dialogo interreligioso e di laici sensibili e attivi nel contrastare il fenomeno, coinvolti anche nelle Tavole rotonde come Stefano Cicone del Gruppo maschile plurale di Roma che si sta impegnando sul tema degli stereotipi che producono atteggiamenti di "inferiorizzazione" delle donne. "Sradicare culture discriminanti è un processo faticoso, finora sono le comunità evangeliche le più attive, ma la violenza contro le donne interroga tutte le Chiese: in America dopo il diffondersi del #MeToo, è nato un movimento analogo sul versante ecclesiastico, #ChurchToo. Non dobbiamo avere paura né tacere, e le comunità religiose di appartenenza devono tutelare e confortare invece che emarginare".
"Sono le nostre stesse religioni a invitarci ad affrontare la questione e dobbiamo fare più rete fra noi donne", ha esordito Nibras Breigheche, fondatrice dell'Associazione islamica italiana degli Imam e delle guide religiose, citando versetti del Corano in cui vi è il riconoscimento della dignità femminile. "Leggiamo che nel rapporto coniugale deve essere esclusa ogni violenza per fare posto a tenerezza e compassione, è un rapporto di complicità al punto che uno è definito veste dell'altro. Il Profeta considerava vergognosi i comportamenti violenti dei mariti verso le mogli e per lui la moglie era la persona più amata. Anche con la figlia – ha proseguito – aveva un comportamento affettuoso e premuroso, esprimendo non solo a parole ma anche con le azioni l'inaccettabilità di ogni discriminazione verso le figlie femmine. Aiutava la moglie nelle faccende domestiche e prima di morire chiese di rimanere con lei, spirando tra le sue braccia".
Nella lotta per contrastare la violenza maschile, è stato infine richiamato l'esempio di figure come quella di Giuseppe, che si fidò di Maria, restò con lei e si mise al servizio della famiglia e di Gesù, che mise in crisi il privilegio maschile di condannare e uccidere le donne, e attuali come quella di Tawakkol Karman, politica e attivista yemenita, leader dal 2005 di "Giornaliste senza catene", gruppo umanitario da lei creato, che nel 2011 ha ricevuto insieme alle liberiane Ellen Johnson Sirleaf e Leymah Gbowee il Premio Nobel per la pace "per la loro battaglia non violenta a favore della sicurezza delle donne e del loro diritto alla piena partecipazione nell'opera di costruzione della pace".
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