Una prosa poetica è cifra distintiva di Poletti, abile nel delineare subito l’atmosfera in cui si trova immerso il lettore
Ametista e Blanca. La prima deve l’originalità del suo nome alla zia Alba, maestra elementare fanatica di Storia naturale, che appena nata, vedendola, esclamò “assomiglia ad un colibrì!” per le scie di vari colori che il forcipe aveva lasciato sul suo corpo. Per gli indigeni della Guyana Francese il nome dell’uccellino è “ametystine” e così l’hanno chiamata. La seconda ha nel nome un solo colore, una pagina incontaminata sulla quale si imprimono gli “schizzi” di sentimenti forti, grumi induriti e nodi da sciogliere. Sono le protagoniste di Mama (Nuova Prhomos, 2018), il nuovo libro di Lorenza Poletti che, dopo il successo dei racconti di “La pioggia è femmina” e “Caste rose”, anch’essi editi da Nuova Prhomos nel 2015 e 2016, è tornata alla scrittura con un romanzo, dedicato al conflittuale rapporto tra madre e figlia, presentato insieme alla giornalista Chiara Limelli giovedì 22 novembre alla libreria Ubik, a Trento.
“Mama è un romanzo che inizia con una scomparsa e termina con il profumo del mare. Racconta emozioni e imperfezioni che sai bene cosa sono, ma il nome giusto da dare non ce l’hai. Per questo, c’è di mezzo la poesia”. E di poesia è intessuta la vicenda narrata, con una ricerca attenta della parola e una scrittura cinematografica, fatta di frasi brevi e incisive, una prosa poetica che è cifra distintiva di Poletti, abile nel delineare subito l’atmosfera in cui si trova immerso il lettore, ad un certo punto addirittura chiamato direttamente in causa.
Suddiviso in cinque capitoli con epilogo conclusivo, il romanzo è stilisticamente caratterizzato dall’alternanza ritmica di brani titolati con il nome di madre e figlia, simili a pagine di diario in cui le protagoniste si rivelano e si parlano, e al tempo stesso richiamanti lo spirito permeante la comunicazione odierna via social, somiglianti a “post”, rapidi ma tutt’altro che superficiali vista la densità dei sentimenti in gioco. E quelli che offre l’autrice sono “quadri” – piccole sceneggiature – che colgono con veloci pennellate le emozioni e contraddizioni espresse da Ametista e Blanca nel dialogo con se stesse e l’altra, uno specchiarsi che rimanda come un prisma aspetti delle due personalità, differenti e al tempo stesso somiglianti, a rappresentare fasi della vita diverse in cui ci si può riconoscere e identificare.
Il titolo, emblematico, può essere letto sia come “mamma” nell’espressione dialettale, sia come “m’ama non m’ama”, un gioco di parole evocativo di un’assenza fisica che è anche mancanza d’affetto: madre e figlia sono appunto alla ricerca di un affetto mai avuto, poli opposti che si respingono e si attraggano, tra lo sparire e il cercarsi, accusandosi, ma assolvendosi. Entrambe vittime e carnefici. Ma il finale è rassicurante e nelle pagine si “respira” amore, sottotraccia che percorre un romanzo prevalentemente autobiografico, seguendo l’evoluzione di un percorso che Poletti sperimenta nel rapporto con la figlia, alla quale ha “rubato” il linguaggio adolescenziale, ed è ambientato in luoghi a lei cari.
Citazioni di brani musicali fanno da colonna sonora alle varie tappe, accompagnando un viaggio nei sentimenti in cui anche gli spostamenti geografici hanno valore: la storia è ambientata a Parigi, dove la scrittrice ha vissuto in passato, poi in Sicilia, isola molto amata con i suoi colori e profumi, infine in un paesaggio collinare, luogo non ben definito del Centro-Italia. Nelle intenzioni dell’autrice, ad ispirare la scrittura di un libro sul conflittuale rapporto madre-figlia vi è il desiderio che si ponga maggiore attenzione alle persone che ci stanno accanto e ai loro sentimenti, consapevoli che è importante mettersi nei panni altrui, osservare e parlarsi di più.
Del romanzo è uscita in edizione limitata anche una versione con copertina riportante un dipinto di Poletti, e nella dedica “a zia Viola e ai suoi vascelli di albume” vi è altra poesia unita alla forza dell’immaginazione ripescando la tradizione popolare secondo la quale, lasciando all’aperto una bottiglia di vetro piena d’acqua e inserendo un albume nella notte fra il 28 e il 29 giugno, si ritroveranno filamenti che ricordano le vele di una barca, prodotte dal soffio di san Pietro che dimostrerebbe così la sua vicinanza ai fedeli, come raccontava la zia alla nipotina.
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