La tecnologia influenza le menti dei nostri ragazzi e il nostro rapporto con loro
Se lo stile di vita, ossia il modo personale in cui raggiungiamo i nostri obiettivi, dipende dalla costituzione ereditaria, dalle impressioni soggettive e dall'ambiente, è innegabile che quest'ultimo elemento negli ultimi decenni si sia radicalmente trasformato con l'avvento delle nuove tecnologie e l'affermarsi della Rete, realtà parallela e virtuale nella quale siamo tutti immersi e che incide a fondo sulla crescita, lo sviluppo e l'educazione delle giovani generazioni.
Proseguendo il dialogo iniziato con Quello che non vedo di mio figlio (Feltrinelli, 2016), lo psicoterapeuta e analista adleriano Domenico Barrilà, da sempre molto attento all’influenza dei fenomeni sociali sulla psiche, si è domandato come la tecnologia influenza le menti dei nostri ragazzi e il nostro rapporto con loro, affrontando la sfida pedagogica lanciata dall'universo digitale nel suo nuovo libro, I superconnessi (Feltrinelli, 2018), presentato in anteprima nazionale giovedì 18 ottobre nello spazio archeologico di palazzo Lodron, a Trento.
"Abbiamo permesso agli imprenditori che operano nel settore degli oggetti digitali nonché a quelli che li utilizzano per veicolare piattaforme molto appetibili come i social network di agire quasi indisturbati – scrive l'autore nella Premessa -, facendo trovare loro territori non presidiati", ma continuare a ripetere che rovinano i figli non serve, gli adulti non devono rinunciare al compito educativo: "La prima preoccupazione dei ragazzi è il bisogno di sentirsi affiancati, capiti e amati, è questo che fa la differenza, pure di fronte al presunto Moloch dei social network".
L'ambiente si è smaterializzato, è pre-interpretato da chi ha interesse a manipolarlo, con la conseguenza che le emozioni si modificano, ha commentato Barrilà, e al giorno d'oggi emerge con evidenza quanto nella rete l'affettività sia degenerata: "Ci sono parole che non avremmo il coraggio di dire di persona, per la vergogna che proveremmo, i social network invece sono un'esasperazione della vita sociale proprio perché non mettiamo in gioco la corporeità, e perciò siamo più disinibiti". È un problema educativo, non tecnologico e compito degli educatori secondo lo psicoanalista è allora far venire nostalgia della realtà, essere bravi osservatori e non spiare, esserci e "stare" con i figli: l'educazione è infatti un'azione di contatto, di prossimità, ed è una trasmissione testimoniale. Di fronte alla sfida, si tratta di ricordare che "il fine dell'educazione è esercitare la nostra natura sociale, e per educare dobbiamo insegnare ai ragazzi che siamo esseri fatti per collaborare e il progresso della comunità si crea grazie allo spirito cooperativo. Se avremo lavorato per valorizzare tale vocazione in loro, toccheremo con mano le conseguenze positive, in tutti gli ambiti nei quali si muoveranno, social network compresi".
L'incontro è stato promosso dall'Associazione Inventum-Armonia al cuore della genitorialità, attiva sul territorio con laboratori educativi e pedagogici per bambini e ragazzi insieme ai loro genitori (informazioni: info@associazioneinventum.org).
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