Esodo Honduras

A decine di migliaia in marcia verso gli Usa. La Chiesa cattolica: “E’ il risultato di decenni di politiche predatorie di Europa e Stati Uniti verso l’America Latina”

Come una valanga. Sono partiti in poche decine, da San Pedro Sula, città del nord dell’Honduras. Il loro sogno: arrivare negli Stati Uniti. Grazie al tam tam dei social, dopo un giorno il gruppo era diventato una carovana. All’inizio della settimana scorsa sono stati in 3.500 ad entrare in Guatemala, primo passaggio obbligato del lungo viaggio. Poi, dietro di loro si sono mosse altre migliaia di persone: circa la metà sono donne. Ci sono bambini, anziani, persone in precarie condizioni fisiche. Un vero esodo.

“Si stima che nel Paese siano entrate 11 mila persone” dice padre Mauro Verzeletti, scalabriniano, direttore della Casa del migrante di Città del Guatemala. Solo un rapido passaggio verso l’ulteriore frontiera, quella messicana? Non proprio. Intanto, coloro che riescono a entrare in Messico sono velocemente rimpiazzati da altri honduregni. In secondo luogo, la valanga, che sembrava inarrestabile, ha avuto la sua prima vera battuta d’arresto alla frontiera messicana del Rio Suchiate.

Se lo Stato messicano del Chiapas aveva garantito “porte aperte”, così come il confinante Tabasco, sono arrivati in massa i gendarmi federali, inviati dal governo messicano, a sua volta pesantemente minacciato dal presidente Usa Donald Trump.

Alla frontiera messicana si sono vissute ore di forte tensione. L’azione degli agenti ha ostacolato non poco la marcia dei migranti, che pure in molti casi sono riusciti a forzare il cordone e arrivare nel tradizionale avamposto messicano, Tapachula, raggiungendo i primi migranti che già erano giunti nella città del Chiapas.

La marcia sarà fermata? Probabilmente no, ma certamente sarà rallentata e frammentata. In ogni caso, nella migliore delle ipotesi, ci vorranno settimane prima di raggiungere il confine Usa, che Trump ha già deciso di blindare, pretendendo dal Messico un analogo atteggiamento. E minacciando, in caso contrario, di intervenire direttamente.

Intanto dall’Honduras continuamente la gente cerca di partire, come del resto faceva, anche se con numeri più ridotti, prima. Racconta suor Lidia de Souza, la coordinatrice per la pastorale della mobilità umana della Conferenza episcopale dell’Honduras (Ceh): “La povertà e la violenza sono a un livello impressionante. Il Governo non offre alcuna proposta e il Paese è in ginocchio”.

“Questo è il risultato di decenni di politiche predatorie di Europa e Stati Uniti verso l’America Latina e in particolare i piccoli Paesi dell’Europa centrale. La situazione in Centroamerica sta collassando”, dice padre Mauro Verzeletti. (Sir)

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