Romero e Paolo VI tra i 7 nuovi santi, testimoni della radicalità del Vangelo

Davanti a 70mila persone che affollavano Piazza San Pietro, domenica 15 ottobre Papa Francesco ha procalmato santi Paolo VI, il Papa della sua formazione, quello più citato nei suoi documenti, Oscar Arnulfo Romero, il vescovo di San Salvador martirizzato il 24 marzo 1980 dagli “squadroni della morte”, Francesco Spinelli, Vincenzo Romano, Maria Caterina Kasper, Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù e Nunzio Sulprizio.

Sette testimoni che “in diversi contesti hanno tradotto con la vita la Parola di oggi – ha detto il Francesco nell'omelia -, senza tiepidezza, senza calcoli, con l’ardore di rischiare e di lasciare”. È questa la via indicata da Gesù a quel “tale” che gli è corso incontro per chiedergli come fare ad avere la vita eterna. Una “proposta di vita tagliente”, “Vieni” e “seguimi”, un invito a “ritornare alle sorgenti della gioia, che sono l’incontro con Lui, la scelta coraggiosa di rischiare per seguirlo, il gusto di lasciare qualcosa per abbracciare la sua vita”.

L’ha fatto Paolo VI, “profeta di una Chiesa estroversa che guarda ai lontani e si prende cura dei poveri”, vero precursore della “Chiesa in uscita”. “Paolo VI, anche nella fatica e in mezzo alle incomprensioni, ha testimoniato in modo appassionato la bellezza e la gioia di seguire Gesù totalmente”, le parole riferite al primato della coscienza, che nella spiritualità di Montini rappresentava per ogni uomo il sacrario più intimo dell’incontro con Dio. “Oggi ci esorta, insieme al Concilio di cui è stato il sapiente timoniere, a vivere la nostra comune vocazione: la vocazione universale alla santità. Non alle mezze misure, ma alla santità”. Insieme a lui e agli altri c'è mons. Romero, “che ha lasciato le sicurezze del mondo, persino la propria incolumità, per dare la vita secondo il Vangelo, vicino ai poveri e alla sua gente”.

“Dove si mettono al centro i soldi non c’è posto per Dio e non c’è posto per l’uomo”, il monito di Francesco: “Il Signore non fa teorie su povertà e ricchezza, ma va diretto alla vita”. “Non si può seguire veramente Gesù quando si è zavorrati dalle cose, la ricchezza è pericolosa”, soffoca il cuore e ci rende incapaci di amare. Gesù, invece, è radicale: “Dà tutto e chiede tutto”, e noi non possiamo dargli in cambio “le briciole, qualche ritaglio di tempo, una percentuale di amore”.

“Chiediamoci da che parte stiamo”, l’invito esigente alla “Chiesa in cammino”, destinataria di una serie di domande: “Siamo una Chiesa che soltanto predica buoni precetti o una Chiesa-sposa, che per il suo Signore si lancia nell’amore? Lo seguiamo davvero o ritorniamo sui passi del mondo? Ci basta Gesù o cerchiamo tante sicurezze del mondo?”.

“Chiediamo la grazia – ha concluso Papa Francesco – di sapere lasciare per amore del Signore; lasciare le ricchezze, le nostalgie di ruoli e poteri, le strutture non più adeguate all’annuncio del Vangelo, i pesi che frenano la missione, i lacci che ci legano al mondo. Senza un salto in avanti nell’amore la nostra vita e la nostra Chiesa si ammalano di autocompiacimento egocentrico: si cerca la gioia in qualche piacere passeggero, ci si rinchiude nel chiacchiericcio sterile, ci si adagia nella monotonia di una vita cristiana senza slancio, dove un po’ di narcisismo copre la tristezza di rimanere incompiuti”.

La tristezza è la prova dell’amore incompiuto. È il segno di un cuore tiepido. Invece, un cuore alleggerito di beni, che libero ama il Signore, diffonde sempre la gioia, quella gioia di cui oggi c’è grande bisogno.

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