Quando i potenti di turno attaccano i giornali che li criticano, è sempre un segnale inquietante per la democrazia. Ma quando questi attacchi si ripetono con insistenza ossessiva e un crescendo di toni – fino a minacciare ritorsioni economiche e ad auspicare la morte delle testate non allineate al pensiero unico del momento – allora il segnale diventa un vero e proprio campanello d’allarme. Ecco perché, a costo di apparire ripetitivi, non bisogna esitare a tornare ogni volta sul tema e a ribadire con fermezza l’importanza della posta in gioco. La libertà di stampa non è un optional della democrazia. E’ uno dei suoi fondamenti. Per quanto riguarda il nostro Paese, si tratta di un valore esplicitamente tutelato nella prima parte della Costituzione, all’art. 21. Non è un caso, poi, che la legge sulla stampa, la n.47 del 1948, sia stata approvata il 20 gennaio di quell’anno, appena venti giorni dopo l’entrata in vigore della Carta. E che ad approvarla sia stata la stessa Assemblea costituente. La XVII tra le Disposizioni transitorie e finali della Costituzione, infatti, stabiliva che l’Assemblea doveva essere appositamente convocata entro il 31 gennaio 1948 per deliberare su tre materie: la legge per l’elezione del Senato, gli statuti regionali speciali e, appunto, la legge sulla stampa. Tale legge, del resto, era espressamente nominata nel testo della Carta, al terzo comma del già citato art. 21.Questo per dire quanto fosse chiaro, nella mente dei costituenti, il legame tra la nuova Repubblica che nasceva e il ruolo della stampa libera. L’Italia era appena venuta fuori dalla dittatura e dalla guerra e c’erano valori che avevano la forza irresistibile dell’evidenza. Adesso la memoria di quelle esperienze tragiche si assottiglia sempre più, anche per il progressivo venir meno delle generazioni che l’hanno direttamente vissuta. Ma basta allargare lo sguardo – e, purtroppo, senza neanche la necessità di andare oltre i confini dell’Europa – per vedere come certe pulsioni illiberali abbiano ripreso a svilupparsi e vengano talvolta addirittura teorizzate. Ecco perché occorre tenere gli occhi aperti anche in casa nostra e non assuefarsi agli attacchi alla libertà di stampa. Da qualunque parte provengano. Non c’è consenso elettorale che tenga, quando è in gioco una questione di libertà. Perché di questo si tratta, non di una difesa corporativa dei giornalisti.Che poi ci siano giornalisti che farebbero bene a fare molta autocritica sui propri comportamenti o a cambiare mestiere, questo è fuori discussione. Ma attenzione a non cadere nella stessa trappola dialettica secondo cui, poiché ci sono politici disonesti, tanto vale abolire il Parlamento. Non è una battuta, qualcuno ha cominciato a immaginarlo…
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