Grazie alla squisita ospitalità del direttore, Diego Andreatta, ho avuto la fortuna di ritrovarmi nella nuovissima sede di Vita Trentina in via Endrici, 14 a Trento coi miei 98 anni e tanto di girello. Con emozione e commozione ho riassaporato l’atmosfera di una redazione che già conoscevo da decenni dalla sede di via Torre Vanga negli anni Sessanta e Settanta e poi in via San G. Bosco.
Mi sono sentito trasportato a rinverdire i tanti passi del mio già lungo sentiero legato fin dall’adolescenza a questa quasi secolare testata. Nel 1926, quando VT è nata, ero al mio primo anno di scuola e certamente non l’ho personalmente vissuta nel suo nascere, ma a 15 anni – dal 1935 al 1938 – è stata la mia fedele compagna, in Piemonte dove ero in collegio; una mia parente mi aveva abbonato al settimanale per farmi sentire e vivere il Trentino ancora con me anche se tanto lontano.
In quei tre anni, grazie a VT, ho gustato settimanalmente il “sapore di casa”, per cui VT mi è entrata nelle ossa con quelle sue quattro fitte pagine che odoravano di inchiostro e che mi hanno fatto capire che cosa volesse dire “comunicare”, ossia il far sapere a chi non lo sapesse che cosa avveniva per il mondo o vicino alla propria casa ma di cui non si era a conoscenza.
Nella nuovissima, bellissima e funzionale biblioteca del Vigilianum ho trovato sugli scaffali tutti i numeri di VT ben rilegati ed a disposizione; quasi con golosità ed ansia mi sono ritrovato in mano l’annata del 1935 e mentre ne sfogliavo le pagine ho trovato la “mia” VT di allora, come una gemma perduta e felicemente ritrovata. Numeri settimanali di soltanto quattro pagine, ma incredibilmente zeppe di parole; mancavano quasi gli stessi margini e nessun spazio vuoto; era stampata a caratteri a mano – come quelli che io maneggiavo da tipografo compositore alla Scuola di Arte Grafica a Milano (1932-35) – con titoli piuttosto limitati per lasciare spazio ai numerosi testi, tutti brevi; le numerose notizie sembravano accumulate una accanto all’altra come funghi in un cestino. In prima pagina gli editoriali di don Delugan o di Gentilotti, e sulla destra le “Voci dal mondo” e le “Cronache italiane”, mentre all’interno le notizie dal Trentino tutte insieme, una attaccata all’altra, cosicché i paesi – col nome evidenziato in neretto – erano immediatamente individuabili e tutti vicini uno all’altro, quasi schiacciati quasi per farli sentire insieme: Storo con Moena, Vallarsa con Cembra, Pergine con Cles, Ala con Tione, Pinzolo con Cavalese, Trambileno con Javrè, Cìmego con Arco. Su una sola pagina si aveva lo sguardo su tutto il Trentino; una visione d’insieme che me per tutta la vita mi ha fatto sentire così, ossia con gli occhi aperti su tutte le vallate; un tipico aspetto che oggi sta scomparendo con le attuali pagine dei giornali “spaccate/spezzettate” valle per valle, a danno della nostra unità/conoscenza provinciale. Un’impaginazione che non mi sono mai dimenticato e che mi sono ritrovato visivamente sotto gli occhi con gratificante soddisfazione.
Tornerò col mio girello in quell’accogliente sala e me ne starò un’intera giornata ad assaporarmi quella VT che per me è rimasta come l’esempio più perfetto di comunicazione: in sole quattro pagine la visione del mondo, dell’Italia e del Trentino; un vero capolavoro di massmedia veramente soltanto a favore dei lettori ignari di tutto (come per me allora rinchiuso in collegio) e come allora erano tutti i contadini e gli emigranti che non potevano leggere i quotidiani (e neppure ascoltare la radio) e che, perciò, attendevano il settimanale come la manna caduta dal cielo e poi, durante la settimana, se la “bevevano” ad avidi sorsi.
Rientrato dall’estero negli anni Cinquanta, Aldo Gorfer mi volle come corrispondente di vallata per il quotidiano che poi sarebbe diventato l’Àdige e da allora mi sono ritrovato fra la carta stampata come voce dalle Giudicarie. Successivamente approdai anche a Vita Trentina con don Vittorio Cristelli, don Agostino Valentini, don Ivan Maffeis, Marco Zeni ed oggi con Diego Andreatta col quale abbiamo piacevolmente ricordati i nostri compagni di viaggio come Fulvio Gardumi, Alberto Folgheraiter, Mauro Neri, Paolo Ghezzi, Augusto Goio e le varie vicende attraverso le quali Vita Trentina si è andata trasformando dalle ormai lontanissime 4 pagine degli anni Trenta, composte con caratteri di piombo e stampate solo in nero, alle moderne 32 pagine che escono a colori dai computer più sofisticati ed attraverso tecniche di lavoro completamente capovolte dai nostri “originali” scritti prima a mano e poi battuti con la macchina dattilografica, che eravamo obbligati ad imbucare, con le buste “fuorisacco”, prima di mezzanotte affinché arrivassero in mattinata in città.
Oltre settant’anni (dal 1947) di “corrispondente”: una vita tra redazioni diverse, delle quali oggi mi è rimasta da frequentare solo quella di Vita Trentina, che tuttora mi ospita e mi mantiene vivo grazie ad una testata sempre più viva nel continuare a tenere insieme i Trentini attraverso la vivacità dell’organo diocesano di comunicazione impostato, soprattutto, sui fondamenti della cultura evangelica.
Auguri che quel “vita” che campeggia sulla testata sia simbolo di perenne presenza nella società trentina.
Mario Antolini Musón
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