La ragazza osserva le offerte di lavoro alla bacheca di un’agenzia interinale. La maglietta azzurra, i capelli raccolti dietro la nuca. Da almeno un decennio, su giornali e siti web, laddove si parla della difficoltà a cercare un posto di lavoro, la scelta dell’immagine che accompagna il testo cade con impensabile regolarità sullo stesso scatto. Al punto da chiedersi, da lettore: possibile che non vi siano altri soggetti da rappresentare, altre inquadrature evocative per documentare il tema?
Al di là della fretta che talora accompagna la selezione redazionale negli archivi digitali, l’episodio racconta, a modo suo, un fenomeno pervasivo: la tendenza ad abbandonarsi agli stereotipi e il rifiuto, talora irrispettoso del destino dei singoli, a guardare oltre, con occhi nuovi e verso nuovi orizzonti.
Ѐ la sfida che si profila anche per la Chiesa trentina, chiamata in questo autunno ad entrare nei filari della tradizione con un passo e uno sguardo diversi. Da sabato 22 settembre iniziamo un percorso insieme alle otto zone pastorali della nostra Diocesi. Nuova è la modalità di convocazione: non il vescovo che chiama a raccolta in un’assemblea generale la propria Chiesa, ma il pastore e i suoi più stretti collaboratori che si muovono sul territorio.
Dall’inizio del mio episcopato ho una priorità: stare tra la gente, osservare le persone negli occhi, stringere la loro mano. Ѐ ciò che dà la forza di andare avanti, perché aiuta a dare un nome e un cognome, un volto, un contesto reale, all’azione pastorale. Soprattutto aiuta ad ascoltare. Ed è questo lo spirito con cui inizia questo viaggio tra le comunità: porsi in ascolto, senza pregiudizi, senza sentenze.
Da parte mia, soprattutto una premura, come ho già ribadito negli incontri preparatori delle Assemblee pastorali: dobbiamo essere consapevoli che anche la Chiesa è immersa in un mutamento sociale, culturale e religioso che la scuote alle fondamenta. Non ci sono più comunità raccolte attorno al proprio campanile, è cambiato il modello di prete, muta il rapporto con la dimensione di fede e la pratica religiosa. E tuttavia persiste, non di rado, una resistenza strenua a prendere atto di tale cambiamento radicale e rendersi consapevoli della necessità di rinnovarsi. Non è più tempo di una pastorale di mantenimento, dobbiamo guardare avanti e oltre, senza perdere di vista le nostre radici. Sogno comunità di persone, non importa quante, che provino semplicemente a vivere il Vangelo, senza distinzioni obsolete tra preti e laici, ma in un unico slancio di comunità credente, riunita attorno alla Parola di Gesù di Nazareth.
Sogno, ancora, comunità che sappiano operare d’intesa, all’interno nelle zone pastorali, senza cancellare le specificità di ciascuno, piuttosto mutuando le buone prassi fra territori in uno scambio virtuoso di talenti e di esperienze. La Chiesa è una storia collettiva dove non si volta pagina da soli.
La volontà di cambiare non può prescindere dalla fatica della ricerca. Ma dobbiamo anche scongiurare quel pessimismo strisciante che impedisce di cogliere i germogli di speranza, coltivarli e farli fruttare, anche solo raccontandoli nel modo giusto, come cercheranno di fare le comunità impegnate nelle Assemblee zonali.
Spero che la ricerca della ragazza della foto alla fine sia giunta a buon esito. Chissà se avrà trovato lavoro, una stabilità affettiva e avrà messo su famiglia. Lo sogno per lei, come per tutti i giovani che stanno crescendo con una spada di Damocle sulla testa: restare immortalati, anche nell’immaginario collettivo, davanti a una bacheca, senza un futuro; viceversa, poter arricchire con nuove fotografie l’album dei ricordi. La seconda notizia sarebbe la più bella anche per la nostra Chiesa.
Arcivescovo Lauro
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