Chi se lo sarebbe aspettato! L’anniversario dei 40 anni dall’approvazione della Legge 180 sulla salute mentale è stato celebrato con solennità con un cortometraggio all’apertura della 75a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. L’avvenimento si colora di profonda umanità e saggezza per una legge che attende ancora la sua completa attuazione, richiamando, in un momento di mondanità – pur con il suo alto taglio culturale – l’angoscia dei famigliari dei pazienti, spesso lasciati soli.
I registi di questo Festival hanno proiettato nei loro lavori la consapevolezza della fisionomia drammatica del nostro tempo visualizzando criticamente gli aspetti deflagranti delle guerre nei vari continenti, dei flussi dei profughi, del razzismo e dei tentativi coraggiosi per sradicarlo. Ma lo sguardo attento e appassionato degli autori si è soffermato soprattutto sul ruolo determinante che hanno le donne nell’attuale società. Numerose infatti le storie “al femminile”. L’esempio trainante ce lo offre l’unica regista in concorso, l’australiana Jennifer Kent che, presentando il suo film “The Nightingale”, ha chiarito: ”Sentivo il dovere di affrontare il tema dei costi psicologici ed emotivi della violenza, soprattutto quella sulle donne. Non farne intrattenimento. Ma il mio è soprattutto un film sull’amore, la compassione, l’amicizia”.
La famiglia degli autori cinematografici si riconosce in ciò che ha espresso il regista norvegese di “July 22”: ”Qualche volta il cinema deve guardare con coraggio e risolutezza il mondo così com’è, come si muove, dove va e come possiamo affrontarlo”.
La Mostra ha proposto pellicole che immettono stili tecnici innovatori, nobilitando il bianco e il nero, vivacizzando le sequenze e rendendole più ricche di suspence e attrazione.
“Roma”, film del messicano Alfonso Cuaròn, sin dal primo giorno ha destato l’interesse dei cinefili ed è apparso subito un possibile candidato al “Leone d’oro” finale, come poi è stato. Attuali le tematiche: la disparità delle classi sociali, la fanciullezza ripescata con sguardo affettuoso e nostalgico; il tutto reso con sequenze in bianco e nero in una solennità avvincente, quasi documentaristica. Un film incentrato sull’affetto e sulla commozione di un fanciullo che, da adulto, sente la necessità di porgere all’attenzione dei contemporanei, attraverso un’arte filmica di elevato spessore, i nostri problemi sociali irrisolti.
Il “Leone d’argento” – Gran Premio della Giuria – lo ha conquistato Yorgos Lauthimos il cui film “La Favorita” è ambientato nei saloni della reggia inglese del primo ‘700, alla Corte di Anna Stuart. Pur ripetendo moduli tradizionali della storia filmica cortigiana, il regista riesce a immettere nelle scene la magia dialogica shakespeariana, sapida di ironia, umorismo punzecchiante e doppi sensi. L’eccellente interpretazione della protagonista – Olivia Colman -, che impersona la regina, le è valsa la “Coppa Volpi” per la migliore interpretazione femminile. L’altro “Leone d’Argento” – Premio per la Migliore Regia – è stato attribuito a Jacques Audiard per il suo “The Sisters Brothers”, ambientato in Oregon, ma girato in Romania. Un lavoro che traduce in armonioso connubio sceneggiatura regia e racconto. Sorprendentemente nel film la ricerca dell’oro non è presentata come avido possesso, ma con lo scopo di usarla per costruire una comunità utopica.
“The Nightingale”, opera dell’unica donna regista in concorso, Jennifer Kent, si è accaparrato il Premio della Giuria, contestato però da parte della stampa.
Il Premio per la migliore sceneggiatura è stato attribuito al film dei fratelli Joel e Ethan Coen ”The Ballad of Buster Scruggs”: si attendeva un western alla pari con la supponente malizia della contemporaneità, invece ci si deve accontentare della sua parziale smitizzazione: gli eroi della nuova frontiera avvolti dalla nudità dell’avventura senza eroicità.
Il Premio Coppa Volpi è andato all’attore Willem Dafoe per la sua eccellente interpretazione nel film “At Eternty’s Gate” di Julan Schnabel, nel quale si immedesima con ispirazione nella figura del grande e tormentato artista Vincent Van Gogh nei suoi ultimi mesi di vita.
I registi italiani in concorso sono stati ignorati. Eppure Minervini, Guadagnino e Martone hanno posto tesi originali. Martone presenta come alfiere una donna per una utopica unione di libertà e ribellione. E questo è pure segno di cambiamento stilistico. Come originale è la tesi di Minervini nell’intervento coraggioso per affermare la giustizia. Pure Guadagnino porta con coraggio sulla scena il fermento civico, passionale della donna quale esempio di innovazione sociale.
Giacomo Botteri
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